L’INCOGNITA

La tregua europea e il debito dell'Italia

di Francesco Morosini

I programmi delle varie forze politiche hanno in comune una certa indifferenza alla questione, prioritaria, del nostro debito pubblico. Male, perché questo limita la sovranità politica, questione sottovalutata. Alla base probabilmente la convinzione, mai esplicitata ma presente, che l’Italia sia «troppo grande per fallire»; e che conseguentemente resterà aperto l’ombrello della BCE (il reinvestimento in debito sovrano italiano e di altri periferici dell’Eurozona dei titoli tedeschi, francesi e olandesi acquistati col programma anti-pandemico). Scommetterci, però, è un azzardo. Fuochi d’artificio da campagna elettorale? No, illusioni incistate nel credo di molta classe politica. La sveglia arriva dall’ex governatore della Banca centrale olandese, nonché personalità influente della finanza internazionale, Nout Wellink, per il quale la politica di «pronto soccorso monetario» per i deboli dell’Euroarea è illegale. Per il vero la tesi (giuridicamente fondabile sui Trattati europei, ma controversa per i sostenitori di politiche monetarie d’eccezione per evitare il default della periferia dell’Euroarea) era già nota per analoghi ricorsi presentati in Germania alla Corte costituzionale di Karlsruhe. A rafforzarla ora sono due fattori: il peso di Nout Wellink e una Germania che dinnanzi a una forte spinta inflattiva potrebbe, facendo leva sulla sua Banca centrale, pretendere più rigidità dalla BCE. La politica italiana, anche in versione elettorale, dovrebbe ricordare che il «troppo grande per fallire» rapidamente da certezza può divenire illusione. Se in democrazia la sovranità appartiene al popolo ma lo Stato è indebitato, allora è la sovranità stessa ad essere in toto o parzialmente ceduta; e, conseguentemente, i ragionamenti su «chi sarà» il vincitore il 25 settembre possono contare meno di quanto si creda. Certo, finché la BCE coopera e butta la «polvere sotto il tappeto» si può credere il contrario e dimenticare che il rapporto debitorio vincola il debitore a un rapporto di dipendenza dal creditore; e che spread e rating esprimono la domanda politica di condizionalità dei mercati, potenzialmente più forte di quella degli stessi cittadini/elettori. Insomma, il debito condiziona quella sovranità popolare che una classe politica attenta avrebbe il dovere di tutelare. C’è un'altra via? Sì, da sempre sostenuta dai NO euro; quella dell’autarchia finanziaria. Via che rimanda agli anni ’70 del ‘900 quando Bankitalia comprava tutto il debito pubblico rifiutato dal mercato: è la cosiddetta «monetizzazione del debito pubblico» o eutanasia del debito pubblico. Sogno? Piuttosto distopia per i cittadini che allora, ricevendo interessi inferiori all’inflazione, vedevano aggredito il risparmio da una sorta di patrimoniale «ombra», mai dichiarata e perciò senza costi di consenso, a favore dello Stato debitore; e per i lavoratori colpiti nel reddito, via inflazione e il fiscal drag, dall’imposta progressiva. Naturalmente, premessa di questa via c’è l’uscita dall’Eurozona. Paradossalmente, anche oggi la BCE monetizza (con preoccupazione dei risparmiatori nordici) il debito pubblico italiano. Ma era la tregua pandemica. Le parole di Nout Wellink ci dicono che la tregua può finire di colpo.

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