I RICATTI DI PUTIN

Le molte ragioni per volere la pace

di Antonio Troise

Sosteneva Andreotti che «a pensar male si fa peccato, ma spesso si azzecca». La decisione di Mosca di tagliare del 15% le forniture di gas in Europa e addirittura del 40% in Germania proprio nel giorno della visita a Kiev di Draghi, Sholz e Macron appare per lo meno sospetta, per usare un abusato eufemismo. Certo, Gazprom si è affrettata a far sapere che la riduzione è dovuta a problemi tecnici: la mancanza di componenti per riparare i gasdotti dovuta alle sanzioni. Ma la verità è che in questa folle guerra i fronti sono due. Il primo è quello, terribile, dei bombardamenti delle città e dei combattimenti strada per strada su tutto sul suolo ucraino. Il secondo, felpato ma non meno preoccupante, è quello che si gioca sul versante dell’economia, una partita a scacchi dove a ogni mossa corrisponde una contromossa più o meno efficace.
È evidente ormai a tutti che la vera arma letale dell’arsenale di Putin non è l’atomica, bensì i giacimenti di gas e petrolio che fanno di Mosca uno dei principali esportatori di materie prime del mondo. Se davvero la Russia decidesse di chiudere i rubinetti, le industrie sarebbero costrette a fermare gli impianti, dal momento che utilizzano il gas per l’87% dei rispettivi fabbisogni. In assenza di fonti alternative, rischieremmo non tanto di soffrire il caldo perché costretti a spegnere i condizionati ma, soprattutto, di vedere paralizzato il nostro sistema produttivo. Ma c’è di più. L’impennata del prezzo del gas e, in genere, delle materia prime, fa correre l’inflazione, aumenta lo spread e mette sotto pressione i bilanci dei Paesi più indebitati, Italia in testa. In questo scenario la visita dei tre leader di Italia, Francia e Germania a Kiev non ha avuto solo l’obiettivo di dare un segnale di sostegno al presidente dell’Ucraina, Zelensky. Ma anche di valutare sul campo fino a dove poter spingere la resistenza europea, conciliando il principio sacrosanto dell’inviolabilità territoriale di un popolo con un’emergenza economica che rischia di esplodere letteralmente nel prossimo autunno. Il destino del conflitto, insomma, si deciderà non solo sui campi di battaglia ma soprattutto sul fronte dell’economia. E, il pallino, mai come questa volta, è nelle mani degli europei, esposti molto più degli Stati Uniti alle conseguenze della guerra in Ucraina. Tocca a Bruxelles, insomma, trovare una soluzione in tempi rapidi a un conflitto che rischia di mettere in ginocchio tutti i Paesi del Vecchio Continente. Sapendo fin da ora che il tempo non gioca affatto a suo favore.

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