Previdenza

Le pensioni e la «lotteria» delle quote

di Antonio Troise

Ci risiamo: con l’anno nuovo cambieranno ancora una volta le regole per andare in pensione. La manovra economica, che ha iniziato ieri il rush finale alla Camera, prevede molte novità nel capitolo previdenza. E non sempre di segno positivo per i lavoratori. Dal 2025 saranno sufficienti 62 anni di età per poter lasciare il lavoro. Ma solo per chi, nel frattempo, avrà maturato 41 anni di contributi. Tecnicamente, si chiama quota 103 e sulla carta (ma solo sulla carta) si tratta di un sistema migliore di quello in vigore l’anno corso, che prevedeva minimo 63 anni di età e 41 di anzianità lavorativa. I vantaggi, invece, sono molto limitati se non inesistenti. Chi deciderà di lasciare il lavoro con le nuove regole, rischia di incorrere in una pesante penalizzazione dell’assegno, che sarà calcolato interamente con il metodo contributivo (cioè, sulla base di quanto versato dai lavoratori nelle casse dell’Inps) e non sul valore delle retribuzioni. Inoltre, l’assegno che sarà erogato dall’Inps, non potrà superare il tetto dei 2.500 euro lordi al mese, più o meno 1.800 euro netti. Secondo gli ultimi calcoli, la platea di lavoratori potenzialmente interessata a quota 103 non dovrebbe superare le 17 mila persone. E non è neanche detto che tutte chiederanno di andare in pensione prima del tempo. Non basta. Sono sfuggiti, sia pure in parte, alla tagliola del governo, i lavoratori nel settore della sanità, degli enti locali, degli ufficiali giudiziari e dei maestri. Per tutte queste categorie la revisione del sistema del calcolo della pensione, con l’addio ai vecchi parametri che risalivano al 1965, poteva comportare una riduzione degli assegni fino ad un massimo del 25%. Il taglio scatterà solo per i pensionamenti anticipati. Nessun rischio per chi lascerà il lavoro a 67 anni o avrà maturato il diritto all’assegno dell’Inps entro il 31 dicembre di quest’anno. Anche al netto delle modifiche previste dalla Legge di Bilancio, siamo ben lontani da quell’annunciata riforma della previdenza che dovrebbe finalmente mettere fine all’ormai ingestibile balletto delle quote e fissare dei principi chiari e sostenibili in grado di dare certezze ai pensionati di oggi e a quelli del prossimo futuro. Non possiamo dimenticare che da aprile 2024 torneranno in vigore le regole del Patto di Stabilità, sia pure rivedute dalla riforma approvata a Bruxelles poco più di una settimana fa. Ma non si può neanche pensare di cambiare le regole previdenziali una volta all’anno per motivi politici o per difendere qualche bandiera di partito senza avere, tra l’altro, neanche un’idea di quella che potrebbe essere una riforma complessiva del sistema. Un intervento che deve essere non solo compatibile con i conti dello Stato ma in grado di garantire quel necessario equilibrio intergenerazionale alla base del nostro sistema del welfare. Senza un’azione puntuale che vada in questa direzione, nel segno dell’equità e della certezza dei diritti, molto probabilmente dovremo rassegnarci ancora per i prossimi anni alla «lotteria» delle quote, con tutti i rischi e le conseguenze che questo sistema porta con sè.

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