L’analisi

Lo spettro del conflitto globale

di Antonio Troise

Non poteva iniziare nel modo peggiore il 2024. Il duplice e drammatico attentato in Iran porta con sè il pericolo concreto di un’escalation militare della guerra in Medio Oriente. Un conflitto che si espande a macchia d’olio insieme con la sua atroce contabilità di vittime e di distruzioni. Nell’irrazionalità che è alla radice di ogni guerra c’è però una lucida follia che sta prendendo piede giorno dopo giorno, senza che nessuna delle grandi potenze riesca a intervenire per mettervi un freno. Singoli focolai di guerra che si stanno velocemente coagulando per arrivare ad una «sintesi» che proietta sull’orizzonte lo spettro di un nuovo conflitto globale. Nel 2014 Papa Francesco parlava, con angoscia, di una terza guerra mondiale a pezzi. Dopo l’attentato di ieri, che segue il massacro in Israele, la guerra a Gaza che si intreccia con in conflitto siriano e, ultimo, proprio un paio di giorni fa, l’uccisione nella periferia sud di Beirut del numero due di Hamas, Arouri, lo stratega della lotta armata, l’impressione di ritrovarsi vicini al punto di non ritorno è sempre più vivida. Anche perché non c’è solo la polveriera Medio Oriente da spegnere al più presto.

Ci sono i 14 e passa mesi del conflitto in Ucraina, nel cuore dell’Europa. I 31 stati africani coinvolti, chi più e chi meno, in conflitti sanguinosi. Le tensioni latenti fra Cina e Stati Uniti sul futuro di Taiwan. Ma anche il Kurdistan, bersaglio delle forze di Ankara. O lo Yemen è tornato alla ribalta delle cronache per gli attacchi contro le navi mercantili in transito nel Mar Rosso. E l’elenco non finisce qui. Ma l’attentato di ieri in Iran ha un significato ancora più netto perché mostra, ancora una volta, la presenza di una regia complessiva per far esplodere le tensioni in Medio Oriente, mettendo la parola fine a quei processi di pace che da Oslo in poi avevano convinto molti degli Stati mussulmani a lasciare cadere le armi per far parlare la diplomazia. Un percorso che sicuramente non poteva piacere agli uomini di Hamas, che puntano alla distruzione dello Stato di Israele. Ma neanche ai paesi arabi più estremisti, contrari ad ogni forma di dialogo con l’Occidente. Il rischio è che, a questo punto, anche le forze moderate, dall’Egitto all’Arabia, possano essere messe ai margini di fronte ad un’impennata delle tensioni internazionali. In uno scenario così complesso e articolato, non può che risaltare ancora una volta il ruolo marginale delle grandi istituzioni che, dopo la seconda guerra mondiale, avrebbero dovuto vigilare sulla pace, a partire dall’Onu. Ma è ancora più pesante la marginalità sul grande scacchiere mondiale dell’Europa, potenza economica che non è mai riuscita a fare il salto di qualità per trasformarsi in un grande soggetto politico, in grado di incidere sui destini del mondo. Un’assenza che sconta anni di divisioni e l’assenza di una strategia in grado di portare la pace non solo all’interno del Vecchio Continente ma anche negli altri angoli del mondo che, più o meno direttamente, sono fondamentali anche per il nostro futuro. Ora non resta che sperare in un accordo a tre, fra Usa, Cina e Russia, in grado di alimentare una “de-escalation” dei conflitti e aprire lo spiraglio di una tregua. Ma, per il momento, non è nulla di più di una vaga speranza. 

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