PIÙ OMBRE CHE LUCI

Manovra da un passo avanti e due indietro

di Antonio Troise

Fra incidenti di percorso, frettolose retromarce e continui stop and go, la manovra economica più «veloce» degli ultimi decenni è in dirittura di arrivo, con un rush finale che costringerà i parlamentari a fare gli straordinari durante le festività per evitare l’esercizio provvisorio. Ma, al di là del record sui tempi, non sarà una legge di Bilancio da ricordare. Anzi. L’ultima (per ora) sorpresa c’è stata ieri, quando si è scoperto che era passato, per errore, un emendamento del Partito democratico con una spesa di oltre mezzo miliardo di euro, cento milioni in più dei 400 stanziati dal governo per coprire tutti gli emendamenti della maggioranza. Ma, prima ancora, c’era stato il tira-e-molla su opzione donna, con le soglie dell’età per la pensione che hanno oscillato fino all’ultimo. Per non parlare della frettolosa retromarcia sui pagamenti con i Pos, dopo il disco rosso fatto scattare dall’Ue. O, ancora, il mini-aumento delle pensioni minime, riservato solo agli over 75. Ma l’elenco delle norme inserite e poi modificate in corso d’opera è lungo. Dal saldo e stralcio delle cartelle esattoriali, ad esempio, sono uscite le multe. C’è stato un lunghissimo braccio di ferro sullo scudo fiscale legato alla sanatoria. Per non parlare dei milioni faticosamente trovati fra le pieghe del bilancio per dare ossigeno alle società sportive. O della norma che ha dato il via libera alla caccia dei cinghiali in città. Insomma, più una manovra all’insegna dell’incertezza, con il fiato corto dovuto all’emergenza-bollette, che ha assorbito i due terzi delle risorse. Non bisogna dimenticare, ovviamente, che il nuovo governo ha dovuto scrivere la manovra in una manciata di giorni, dopo la vittoria elettorale. Ma questo non basta a spiegare i ritardi e, soprattutto, le tensioni che hanno segnato la legge. In realtà, accanto alle difficoltà tecniche e alle trattative con Bruxelles, ha pesato il malessere interno alla maggioranza, con Lega e Forza Italia che hanno lottato fino all’ultimo miglio per incassare qualche misura di bandiera. Un braccio di ferro estenuante, reso evidente dalle tensioni che hanno caratterizzato la scrematura dei tremila e passa emendamenti presentati in Commissione Bilancio. Niente di preoccupante, per carità: il governo di centrodestra per ora tiene. Ed è pura fantascienza immaginare una crisi politica. Ma la prima manovra economica dell’era Meloni ha dimostrato, una volta di più, il sentiero stretto su cui si è mosso l’esecutivo, fra i richiami continui di Bruxelles e la necessità di dare segnali rassicuranti ai mercati, soprattutto dopo la stretta monetaria decisa dalla Bce e l’aumento dei tassi di interesse. Del resto, con uno scenario internazionale ancora segnato dalla guerra in Ucraina e con il rischio recessione che ingombra l’orizzonte, forse era difficile fare di più. Ora, però, una volta archiviata la legge di Bilancio, il governo dovrà cambiare passo e dare le risposte che il Paese attende sui capitoli che la manovra ha lasciato in sospeso, dal fisco alle pensioni, fino al Pnrr. E, questa volta, non ci sarà l’alibi del tempo.

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