L’editoriale

Manovre in deficit ora la stretta

di Antonio Troise

Inutile farsi illusioni. Non è ancora arrivato il momento di allargare i cordoni della borsa. Colpa della pesante eredità del superbonus, circa 30 miliardi all’anno da qui al 2026. Ma anche delle incertezze che ancora segnano l’orizzonte europeo, con una guerra in casa, quella in Ucraina, e l’altra, non meno pericolosa, in Medio Oriente. Di fronte a questi scenari fa bene il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti a predicare e praticare la prudenza. Lo ha fatto anche ieri, cominciando a sistemare i primi tasselli del Def, il Documento di Economia e Finanza, l’architrave della politica di bilancio dell’esecutivo. I numeri saranno resi noti solo la settimana prossima, probabilmente martedì, quando il testo arriverà sul tavolo di Palazzo Chigi. Ma la linea sarà praticamente la stessa rispetto a quella dell’ultima Finanziaria: discreta e rigorosa. Pochi spazi, insomma, per affrontare le impegnative promesse fatte durante la campagna elettorale, dalla riforma fiscale con la flat tax o quota 41 (di contributi) per andare in pensione. Misure troppo costose e sicuramente incompatibili con l’attuale quadro di bilancio. Del resto, il maxi-deficit del 2023, superiore al 7%, ci costerà l'avvio a Bruxelles di una procedura di infrazione per disavanzo eccessivo. E, con il ritorno delle regole del patto di stabilità, nel 2025, pensare a nuove manovre ricorrendo a nuovo debito è inimmaginabile. E non solo perché ce lo dice l'Europa. La verità è che la strategia del rigore e la linea della continuità rispetto alla stagione di Draghi praticata dal governo ha consentito fino ad ora all'Italia di procedere nel verso giusto. L'economia, sia pure in frenata, cresce ad un ritmo superiore rispetto alla media europea. Il tasso di occupazione macina record mentre lo spread fra i nostri Btp e quelli tedeschi si è assestato sui minimi da due anni. In altri periodi, la prospettiva di una procedura di infrazione e un deficit fuori controllo anche a causa del superbonus, avrebbero fatto scattare l'allarme e portato alle stelle i rendimenti dei titoli pubblici. Se oggi l'Italia continua a riscuotere una certa fiducia il merito non è solo dell'economia reale ma anche del rigore con il quale Giorgetti ha mantenuto la rotta dei conti, nonostante le pressioni che arrivano dalla maggioranza e le tensioni di un periodo pre-elettorale. La decisione di mettere la parola fine all'emorragia dei superbonus, dal 110% a quelli per il sisma, con lo stop definitivo alla cessione del credito o allo sconto in fattura, va in questa direzione. Ma è anche vero che da solo il "rigore" non basta. Per dare una svolta al Paese occorre anche spingere su due versanti. Il primo è quello del Pnrr, la cui accelerazione potrebbe compensare il calo degli investimenti privati. Il secondo, è quello delle riforme, dalla pubblica amministrazione alla giustizia civile, dalle liberalizzazioni dei servizi alla concorrenza. Senza una strategia a 360 gradi anche un Def "serio" potrebbe risultare monco.

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