Nella guerra del fango anche la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha deciso di tornare in anticipo dal G7 in Giappone per mettersi gli stivali di gomma e andare in trincea accanto ai cittadini già al fronte contro i disastri dell’alluvione (14 morti, 100 Comuni dell’Emilia-Romagna coinvolti, ancora migliaia di sfollati e danni incalcolabili). Gesto importante, ma insufficiente. Così come importanti sono le parole di incoraggiamento («Il governo c’è, è una tragedia, ma può essere un’occasione per rinascere più forti»), che tuttavia non bastano più. Siamo, infatti, davanti a una calamità naturale imprevedibile in queste dimensioni e per intensità di pioggia caduta, ma del tutto «prevenibile», se solo - per citare l’ex premier ed emiliano, Romano Prodi -, ci si fosse dati per tempo da fare su alcune voci importanti, basilari. Voci come investimenti e manutenzione, opere di contenimento delle acque e di pulizia di fiumi e boschi, messa in sicurezza degli edifici a rischio: queste e altre misure, se fossero state fatti negli anni ora non ci ritroveremmo in queste condizioni. Invece per decenni i governi sono rimasti in proposito nullafacenti. Impegnati solo nel doveroso pronto soccorso di emergenza. Non è più il momento, dunque, di rifugiarsi nella facile retorica dei pur evidenti cambiamenti climatici, a cui la politica ricorre sempre per giustificare l’ingiustificabile inerzia. È ora di dire frana alla frana. La storica inettitudine (da almeno 80 anni, come ha riconosciuto il ministro della Protezione civile, Nello Musumeci) di cui le classi dirigenti nazionali e locali hanno dato imperterrita prova, discende da una ragione elementare e cinica: investire risorse, idee ed energie in opere che produrranno i loro effetti benefici fra molti anni, cioè quando i promotori di queste iniziative non saranno probabilmente più insediati protagonisti della scena pubblica, non conviene a nessun partito né ad alcuna coalizione. La politica insegue l’interesse elettorale del giorno per giorno, non gliene importa dell’interesse nazionale in un futuro lontano. Ecco, allora, che Meloni e la sua maggioranza hanno oggi l’opportunità di dimostrare se, come dicono, vogliono cambiare ed essere diversi rispetto ai loro predecessori, di destinare risorse, interventi qualificati e iniziative durature per mettere l’Italia al riparo non dalle prossime elezioni, ma dalle prossime e purtroppo scontate calamità naturali. Scontate, se nulla continuerà a essere fatto per evitarle. Il male oscuro dell’alluvione non proviene dal cielo inclemente, bensì dall’incuria conclamata dell’intero arcobaleno politico.