L’editoriale

Rete d’odio e un mondo che trema

di Davide Rossi
L'attacco terroristico a Mosca rivendicato dall'Isis
L'attacco terroristico a Mosca rivendicato dall'Isis
L'attacco terroristico a Mosca rivendicato dall'Isis
L'attacco terroristico a Mosca rivendicato dall'Isis

La Storia, in modo quasi stantio, ripete schemi, modelli e giustificazioni. Con le dovute differenze ed esigenze di contestualizzazione, ma davanti a crimini efferati come quello avvenuto venerdì scorso alla sala concerti di Mosca, le strategie geopolitiche sovente si reiterano. Appare difficile contestare una rivendicazione come quella fatta fin dalle prime ore dalla notizia del terribile attentato direttamente dagli artefici, ossia dall’Isis e dallo Stato islamico, che ha più di un motivo per attaccare la Russia, se solamente si pensa al ruolo nevralgico che quest’ultima ha avuto in Siria a favore di Bashar al-Assad e di conseguenza contro i sunniti ribelli, quanto in Afghanistan cooperando con i talebani. Ciò che ora maggiormente si rileva è, d’altro canto, l’utilizzo propagandistico di quanto accaduto in riferimento ai prossimi passaggi bellici contro l’Ucraina e, più in generale, nei confronti dell’Occidente. Un po' come quanto accadde a Pearl Harbour, nel dicembre del 1941, quando 183 caccia dell’Impero giapponese attaccarono gli Stati Uniti d’America, causando quasi 2.500 morti e la perdita pressoché totale della flotta navale; invero, la mancanza di vigilanza e l'eccessivo pressapochismo dell'intelligence da taluni fu interpretata come voluta, in quanto tale attacco avrebbe risolto la riluttanza dell'opinione pubblica statunitense e favorito l'entrata in guerra, ormai divenuta ineluttabile, avendo subito un attacco addirittura in Madre Patria. Al di là dell'individuazione delle responsabilità, il tema nodale che si sta aprendo è collegato alle modalità comunicative con cui verrà utilizzato questo attentato, internamente quanto esternamente. Da una parte, infatti, fornisce un fattore legittimante per rinsaldare il popolo russo in un momento in cui il morale risultava particolarmente basso, a causa del perdurare di un conflitto che doveva concludersi in pochi mesi e di cui, a distanza di due anni, non si intravvede ancora la fine. Dall'altra offre il destro a Putin per giustificare una politica proattiva sia nelle sedi internazionali (si pensi al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, di cui è membro permanente) quanto nelle relazioni diplomatiche, potendo elevare una serie di pretese, fondandole su ragioni di sicurezza o di contrasto alla criminalità e al terrorismo. Il rischio principale è che questo attentato diventi una sorta di moltiplicatore delle tensioni internazionali, aprendo a molteplici prospettive, di cui è difficile comprendere gli sviluppi politici, se non immaginare che alzeranno a dismisura i toni del confronto. Le strumentalizzazioni non potranno che aumentare e autoalimentarsi, magari consentendo di dare un'ultima spallata, chiamando al fronte quei riservisti che l'opinione pubblica russa fino adesso faticava a giustificare. Non sbaglia, inoltre, chi osserva come sia stata messa pure in discussione l'immagine granitica di leadership muscolare che Putin aveva appena cementificato con il voto della scorsa settimana, se soltanto si rifletta che quattro o cinque attentatori stranieri giravano serenamente armati per la - non così sicura - capitale.Sono chiavi di confronto che si sovrappongono e si intrecciano, come spesso accade, in quanto non vi è un solo piano di lettura, bensì una pluralità di interpretazioni, tutte corrette e soprattutto complementari, che si sovrappongono e si intrecciano tra loro, incrementando e complicando uno scenario mondiale sempre più instabile e vacillante.

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