IL VERDETTO

Salvini e Conte i due veri sconfitti

Per chi suona la campana del voto amministrativo? Per Matteo Salvini e per Giuseppe Conte. L’esito delle elezioni in quasi mille Comuni ribalta gli equilibri politici del voto nazionale nel 2018. Se in Parlamento il M5s e la Lega rappresentano insieme e da soli il 50 per cento dei consensi espressi dagli italiani appena quattro anni fa, il risultato di domenica emerso ieri dallo scrutinio è solo la conferma del lento, ma continuo loro declino. A destra Giorgia Meloni con Fratelli d’Italia ha sorpassato Matteo Salvini persino nelle città dove la Lega era forte. A sinistra Enrico Letta con il suo Partito democratico consolida il suo ruolo di colonna portante del “campo largo” da lui evocato, e in cui la presenza grillina si rivela poco influente. Se ieri i partiti primeggianti erano il Movimento 5 stelle e il Carroccio, oggi lo sono il Pd e Fdi: e un domani ormai vicino, cioè nella primavera 2023, arriverà il voto politico. Secondo Salvini sarà quello l’appuntamento per decidere, in base ai voti ricevuti da ciascun partito, chi guiderà il centrodestra. Lui minimizza, constata, come i suoi alleati, che “uniti si vince” col pensiero rivolto alle divisioni del centrodestra a Verona.Ma l’antagonista Giorgia Meloni rilancia la sfida agli alleati: «Siamo noi la forza trainante del centrodestra». Di Salvini non ha pagato la strategia per una Lega di lotta e di governo, in barba alla partecipazione all’esecutivo di unità nazionale guidato da Mario Draghi. Ministri e governatori leghisti non amano tale politica ondivaga e declamatoria. Come da ultimo testimoniano le polemiche sul viaggio tentato e annullato del segretario a Mosca «per la pace in Ucraina». Oppure la stessa promozione - con i radicali - di cinque referendum sulla giustizia che hanno toccato il minimo storico dell’interesse dei cittadini e della conseguente affluenza. Un fallimento e tanti errori che si rispecchiano nella costante discesa dei consensi e nella contestuale ascesa di Meloni (con Silvio Berlusconi nei panni inevitabili del mediatore). Analoghi problemi sull’altro versante, dove Conte ammette d’essere deluso per i magri risultati del M5s. Ma anche qui è la sua politica a essere messa sotto accusa: troppi occhiolini al grillismo delle origini e troppa distanza dal ruolo istituzionale di Luigi Di Maio e di quanti sostengono il governo. Conte non ha digerito Draghi, e si vede. Intanto, Renzi e Calenda sperano di trovare spazi tra i poli in cambiamento. Anche se la terza via esce battuta dal voto comunale, che ha riproposto nuove versioni di bipolarismo. E che non intacca la tenuta del governo in carica, l’ultimo della legislatura.

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