LA LEGA DIVISA

Salvini e Giorgetti, tregua armata

di Stefano Valentini

Li ascolta tutti, ma alla fine decide lui. Non poteva essere più esplicito, Matteo Salvini, entrando al vertice della Lega convocato apposta dal leader per contare amici e nemici. Anche se è difficile definire «ostile» la posizione, semplicemente diversa, incarnata da Giancarlo Giorgetti, il ministro dello Sviluppo economico che parla poco, eppure ha già detto tre cose importanti: meglio appoggiare Draghi, al governo oggi o al Quirinale domani. Meglio stare in Europa coi popolari anziché coi sovranisti. Meglio dare ascolto alle ragioni dei governatori sulla ripresa e soprattutto sulla pandemia, piuttosto che inseguire il torto degli anti-vaccino. Dunque, Giorgetti spinge per una Lega che anteponga le istituzioni alla piazza e il dovere del governare, a Roma o nelle Regioni, al diritto di fare opposizione. Non sono idee né percorsi antitetici a quelli di Salvini, che ha pur sempre fatto il ministro dell’Interno e il vicepresidente del Consiglio fino a due anni fa. Ma che, in particolare, ha portato la Lega da partito nordista con consensi modesti e calanti (periodo dell’ultimo Bossi, quasi 10 anni fa), a movimento nazionale in forte ascesa fino a diventare primo partito in Italia col 34 per cento dei voti alle Europee del 2019. Ma dal trionfo a oggi molto è cambiato e non pochi elettori si sono persi per strada. La svolta all’indietro comincia con l’addio di Salvini al governo-Conte proprio nel momento di massimo fulgore dei leghisti nella coalizione gialloverde: un harakiri senza precedenti che da allora (...) segue a PAG. 7

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