Ue, perchè è franato il sogno dei «padri»

I fatti di Ventimiglia, la costruzione di un muro in Ungheria al confine con la Serbia e le trattative ormai sempre più difficili per la risoluzione della questione greca sono altrettanti indicatori di uno stato di crisi dell'Unione europea che non ha precedenti neppure se si ripensa alla lontana «politica della sedia vuota» di Charles De Gaulle oppure alle battaglie della Thatcher per evitare che il processo d'integrazione andasse oltre i desideri di Londra. Il problema non è, come sostengono taluni, che abbiamo «troppa Europa». È che abbiamo quella sbagliata: è difficile ritrovare l'eco del Manifesto di Ventotene, dell'impulso che i Padri fondatori (Spinelli, De Gasperi, Adenauer, Schuman, Monnet) seppero dare a quell'embrione di sei Paesi che- mettendo alle spalle millenni di guerre fratricide- avevano deciso di aprire le loro frontiere, partendo dagli scambi commerciali ma proseguendo verso un'integrazione politica mai completata, comprendente la difesa (anche se il progetto della Ced, purtroppo, fallì) e un'ampia legislazione comune. Il Parlamento europeo eletto dal popolo, un sistema di nuovi diritti, l'abolizione di antichi steccati e l'ampliamento fino a 28 Stati membri hanno rappresentato, insieme ai vari trattati, la tensione verso qualcosa che oggi è però diversa dalle intenzioni. Abbiamo persino una Corte di giustizia sovranazionale, ma si è gradualmente perduto il bene più prezioso, la pietra angolare che gli ispiratori dell'Europa unita avevano posto alla base di tutto: la solidarietà fra i popoli. Quando si attendono anni per risolvere un contenzioso- quello greco- che forse si sarebbe potuto chiudere già all'inizio della vicenda con minor danno per l'intero continente, quando si costruiscono muri, quando per esigenze di politica nazionale si fanno passare gli interessi generali in secondo piano, lo spirito di Ventotene e dei Trattati di Roma s'indebolisce ogni giorno di più. Senza una vera linea operativa in politica estera, senza una strategia autentica e comune sull'immigrazione, le istituzioni dell'Ue appaiono sempre più sopraffatte dai piccoli interessi di bottega, in una situazione nella quale si fa fatica a capire dove finisce la debolezza dell'Unione e dove arriva la forza del particolarismo. La soluzione non sta nel distruggere tutto per tornare all'Europa delle guerre e delle trincee, ma nel recupero di una visione comune dell'interesse degli europei che le classi dirigenti politiche sembrano aver smarrito o ceduto per un pugno di voti.

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