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Il soccorso alpino sulle tracce di Filini

Abbigliamento di Filini: gonnellino bianco di una zia ricca, maglietta Lacoste, scarpa da passeggio di cuoio grasso, calza scozzese e giarrettiere. Fantozzi: maglietta della Gil, mutanda ascellare aperta sul davanti e chiusa pietosamente con una spilla da balia, elegante visiera verde con la scritta «Casinò di Saint Vincent». È la mitologica rassegna di implausibili vestimenta nella partita a tennis del primo tragico Fantozzi, elencazione merceologica che qualche cultore ha pure imparato a memoria, come un vangelo laico, dalla A di ascellare alla Z di zia. Per scorno e per sberleffo ora che sono sani e salvi, ci piace immaginare così abbigliati, spillone da balia e scarpe da passeggio, anche gli «escursionisti» che ad ogni weekend sui monti bresciani si perdono sorpresi dal calar del buio (ma... l’orologio?), si bloccano sotto una parete (ma... tutto il resto?), smarriscono la via sia per scendere sia per salire, chiamando a portare la croce i cirenei del Soccorso alpino, sempre prontissimi. Ma che barba mobilitarsi per salvare gli impreparati in giarrettiera, con rischi, costi e fatiche. È successo l’altro ieri a Limone, la settimana prima a Tremosine: si perdono, e poi tocca salire in quota a salvarli. Anche loro: non potevano darsi al tennis?

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