Le incisioni camune e la fragile eternità

Exegi monumentum aere perennius: ho innalzato un monumento più eterno del bronzo. Lo scriveva nell’antica Roma il poeta latino Orazio, convinto che la parola poetica, creatrice di eroi e d’amori, passioni e avventure, di cupe gelosie e di arcane divinità, l’immaginazione resa in versi nelle sue Odi, sarebbe durata per sempre, più che se fosse stata fusa in solido metallo. Perché in quelle poesie c’è l’animo dell’uomo. E infatti le sue Odi, scritte con lo stilo su codicilli, sono ancora qui, dopo duemila anni. Fatte a martelletto e graffito sulla pietra, non meno perenni e anzi molto di più, sono anche le incisioni rupestri della Valcamonica: le più antiche di anni ne hanno ottomila e anche quelle raccontano l’uomo, il suo mondo materiale e il suo universo spirituale, testimonianze di un passaggio, segni di vita. Eppure attenzione: si fa presto a dire «perennius». Perché come le poesie di Orazio, che vanno ricopiate e ristampate, anche le incisioni camune hanno bisogno di restauri. Perché, per poterle ammirare, le rocce sono state «ripulite», spesso malamente, ed esposte alle intemperie insieme ai nostri sguardi. A Nadro se ne dovranno restaurare diverse, perché stanno sbiadendo. Dipende da noi se saranno perenni.

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