Milioni in giardino come elefanti indiani

È dal 1969 che lo sappiamo: in giardino uno può tenerci le più svariate e fantasiose cose. Era l’anno dello sbarco sulla luna, che già ci parlava di illimitate possibilità oltre ogni utopia, ma soprattutto l’anno in cui allo Zecchino d’Oro trionfò quella canzoncina, quella del gatto nero, che recitava così: «Un elefante indiano con tutto il baldacchino lo avevo nel giardino e l’avrei dato a te». L’Italia intera prese a immaginare giardini ingombri di quanto di più fantastico, forse anche la stessa moda dei famigerati nani da giardino ricevette impulso in quell’irripetibile anno. E allora perché stupirsi adesso, dopo mezzo secolo con tanto scalpore, se quei coniugi di Gussago in giardino ci tenevano 8 e più milioni di euro? Sarebbe sembrato più normale un elefante indiano? Con tutto il baldacchino? In fondo quelle erano solo banconote: c’è chi le tiene sotto il materasso e nemmeno questo è del tutto normale. Però la mente umana è strana: di tutto il (presunto) giro di fatture e carte false che si sospetta ci sia dietro agli 8 milioni sepolti, è proprio quello il dettaglio che colpisce e che intriga. «I patti erano chiari: un elefante a te, ma tu dovevi dare un gatto nero a me», diceva. Ma qual era, se c’era, il «patto» dietro a quella massa di soldi in giardino?

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