La ricorrenza

Fellini, l’uomo delle stelle: trent’anni senza Federico

di Luca Canini
Il 31 ottobre del 1993 si spegneva a Roma il regista di capolavori indimenticabili come «La dolce vita», «8½», «I vitelloni» e «La strada»

C’è una sequenza che vale più di mille saggi, più di un milione di articoli, e che spiega perfettamente il prodigio Fellini. È il celebre incipit sotto forma di sogno di «8½», non a caso l’opera in cui Federico da Rimini ha riversato tutto sé stesso. Guido Anselmi-Marcello Mastroianni è appena riuscito a sgattaiolare fuori dall’abitacolo dell’auto in cui lo smog del traffico lo stava soffocando e si è librato in volo sulle piccolezze del necessario, sui volti grigi e silenziosi di chi vive solo di cose pratiche, di chi passa le giornate a contarsi in tasca gli spiccioli dell’esistenza. Felice tra le nuvole, verso l’infinito al quale sente di appartenere. C’è una corda però legata alla sua caviglia, c’è una spiaggia sotto i piedi del protagonista, e qualcuno che dall’altro capo tira, tira e tira fino a quando Guido non precipita in mare. «Giù, definitivamente», ordina l’avvocato a cavallo, una specie di Sceicco Bianco al contrario, poco prima che Guido si svegli di soprassalto da quello che nel frattempo è tornato a essere un incubo. Ecco, Federico Fellini è stato questo: il genio in volo sulle cose da niente, sul mondo al quale era legato da una corda sottile sottile, sempre sul punto di spezzarsi, quello stesso mondo che ha tentato fino alla fine di riportarlo alla pochezza della realtà. Senza mai riuscirci, per fortuna nostra. Tanto che a trent’anni e qualche giorno dalla sua scomparsa, il 31 ottobre del 1993, siamo ancora qui a celebrarne l’arte e la vita.

La valigia dei sogni
E che arte! E che vita! Federico Fellini è stato il regista che ha insegnato al cinema a non avere paura di sognare tutto il sognabile. Non che prima di lui non ci fossero stati dei veri sognatori, per carità. Il cinema, in fondo, è l’arte del sogno fin dai tempi di Méliès, Fritz Lang e Buster Keaton. Ma provate a immaginare il cinema senza Fellini... uno spazio molto più angusto, vero? Un miracolo incompiuto. Libero, sì, ma non fino in fondo. Perché Fellini è stato l’ultima spallata - forse quella decisiva - ai cancelli del cielo, l’uomo delle stelle che ci ha portati al di là dei confini di tutte le galassie di cellulosa. È stato Fellini a spiegare al cinema che l’immaginario viene prima di tutto, che il mezzo non può essere un ostacolo, che se i film sono troppo piccoli per contenere tutto quello che ci vogliamo mettere dentro, non resta che fare film più grandi. C’era tutto un mondo a misura di Fellini attorno a Fellini. Davanti e dietro alla macchina da presa. Basti pensare alla maniera sconsiderata in cui gestiva il set, a quel caos totale dal quale per magia, in un gioco di equilibrismi circensi, prendeva forma la meraviglia assoluta. Fellini è stato il profeta del tutto. L’esempio inarrivabile, il connettore di universi, l’uomo che ha traghettato il (neo)realismo fuori dalle secche del didascalico, l’umorista dalla vignetta facile tirato su dai Monicelli, dai Rossellini, ma anche dai Macario, dagli Aldo Fabrizi, dalla rivista e dall’avanspettacolo («Luci del varietà» non a caso è il titolo del debutto co-firmato con Lattuada, il mezzo aggiunto al conto delle otto pellicole dirette in proprio).

Noi e il Maestro
Di sequenza in sequenza, ce n’è un’altra che spiega il prodigio Fellini visto dalla parte di noialtri mortali. Non è in un film di Fellini, però, ma in «Divorzio all’italiana» di Pietro Germi. L’anno è il 1961, poco dopo la beatificazione definitiva di san Federico da Rimini con «La dolce vita». Il protagonista è lo stesso, Marcello Mastroianni, che si leva gli occhiali neri per indossare i panni lascivi del barone Fefè. Ricordate? La famiglia Cefalù che si prepara per andare al cinema e poco dopo la folla di maschi con la coppola che si accalca davanti alle forme scandalose di Anita Ekberg? Di anni dal bagno nella Fontana di Trevi ne sono passati più di sessanta, un paio di ere geologiche. Eppure siamo ancora qui ad accalcarci di fronte a quel grande schermo, ai bordi della pista del circo Federico. Il tempo passa, Fellini è per sempre.

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