La novità

«Poor Things», benvenuti nel mondo di Bella Baxter

di Luca Canini
letterboxd.com/RivBea79
Dopo il Leone d'Oro vinto a Venezia e la notte magica dei Golden Globe, è arrivato in sala anche in Italia «Povere creature!» di Yorgos Lanthimos: un capolavoro annunciato che capolavoro non è

Da Venezia è tornato con il Leone d’Oro a tracolla (a sorpresa ma nemmeno troppo), nella lunga notte dei Golden Globe è stato l’unico in grado di rubare almeno un pezzettino di scena al trionfo di «Oppenheimer» e in vista degli Oscar è probabilmente il candidato numero uno al ruolo di antagonista di Nolan: «Poor Things» di Yorgos Lanthimos ha fatto centro. Amatissimo fin dal trailer, capolavoro per acclamazione. Beatificato sulla pubblica piazza con quel fervore da tribunale social che inibisce qualsiasi tipo di discorso critico. In realtà c’è molto da ragionare, c’è molto da dire sui perché e i percome di «Povere creature!», che del capolavoro ha la faccia e il piglio, che capolavoro vuole esserlo a tutti i costi, ma che tra scorciatoie e reticenze un capolavoro lo è solo nelle intenzioni.

Una Bella Baxter da red carpet

Ma iniziamo da Emma Stone. Che di «Poor Things» è l’unica, vera ragione, oltre che la protagonista assoluta. Ripescata dalle correnti del Tamigi come aspirante suicida e restituita alla vita dopo che le è stato trapiantato il cervello di un nascituro, Bella Baxter è il film.

Una bambola di carne in versione tabula rasa, una «Die Puppe» che sembra uscita dall’epoca del muto, cugina non troppo alla lontana di Frankenstein, Pinocchio, Kaspar Hauser, Harley Quinn e della «Air Doll» di Kore’eda; una marionetta distruttrice e a-morale che si getta a capofitto tra le braccia del mondo sensibile, di tutto ciò che la circonda, alla scoperta della complessità delle emozioni, del suo corpo e di quello degli altri, del piacere e del dolore. È attorno al ciclone Bella che Lantimos costruisce uno spazio neo-gotico e grottesco, tra sci-fi e cyberpunk, con Tim Burton, Croneberg e gli horror classici alla Universal come riferimenti precisi. Il risultato è un passato-futuro sovrastato da cieli psichedelici e solcato da bastimenti alla Miyazaki, abitato da animaletti strambi che avrebbero fatto la loro figura nell’appartamento del timido JF Sebastian di «Blade Runner» o sull’isola delle anime perdute del dottor Moreau, attraversato da carrozze a vapore degne della Londra di Harry Potter e da tram volanti che sfrecciano in una Lisbona a misura di «Star Wars». Tanto, tantissimo da vedere (pure troppo). Il palcoscenico ideale per le marachelle e gli sberleffi di un’irresistibile, e sensualissima, Emma Stone.

Ma i furiosi sobbalzi non bastano

Oltre gli sberleffi e le marachelle però il film non si spinge. La favoletta di liberazione femminista che Lantimos racconta non è né problematica (da questo punto di vista, fa un po’ effetto dirlo, è stata molto più radicale Greta Gerwig con la sua «Barbie»), né particolarmente caustica. Si ride, sì, soprattutto all’inizio, nella fase bambina, ma è una comicità che si accontenta di pattinare sulla superficie delle frizioni, delle contraddizioni che sorgono dallo scontro tra il sistema-mondo e la ri-educanda Bella Baxter. Lantimos si premura di non mettere mai in discussione l’istintiva simpatia che la sua creatura suscita nello spettatore. La visione etica di «Poor Things» non è mai davvero scomoda, anarchica fino alle estreme conseguenze: si resta ampiamente nei limiti del tollerabile.

Funzionali in tal senso i maschi che ronzano attorno all’ape regina: troppo diafano il promesso sposo Max per essere davvero compatito; troppo stupido e patetico lo spasimante Duncan (ottimo Mark Ruffalo) per non attirare schiaffi e pernacchie; castrato chirurgicamente il padre putativo Godwin, lo scienziato pazzo Willem Dafoe, in modo da evitare incestuose ambiguità; cattivo punto e basta l’ex marito Alfred. Idem i clienti del bordello parigino, che al cospetto di una Bella di giorno un po’ più capricciosa di Catherine Deneuve, ma molto, molto meno conturbante, sono squallidi e schifosi fino a pagina due. Persino l’incontro con la morte e la sofferenza, ai piedi della torre di Alessandria, suscita la più prevedibile delle reazioni: compassione immediata e incondizionata. Altro che amoralità: «Poor Things» non fa altro che correre appresso a Bella e alla sua fame di vita, ai suoi furiosi sobbalzi, ai suoi appetiti, che bastano per un omaggio al talento (enorme) di Emma Stone ma non per un capolavoro.

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