Cristicchi consolida il legame «Un nuovo spettacolo a Brescia»

di Stefano Malosso

La storia di un’idea. La storia di un sogno. Una via d’uscita per ripensare insieme la rinascita di un Paese, guardando anche a chi, prima di noi, ha saputo andare oltre al muro del proprio contesto storico per pensare una nuova società. Per costruire una nuova speranza. Prosegue la rassegna «Il posto delle fragole» ideato dal Centro Teatrale Bresciano, che propone la registrazione dello spettacolo «Il secondo figlio di Dio», grande successo interpretato da Simone Cristicchi con la regìa di Antonio Calenda. Lo spettacolo, che sarà disponibile sul sito del Ctb dalle 10 alle 24 di oggi e domani, è un condensato della narrazione di Cristicchi dentro l’incredibile storia di David Lazzaretti, carrettiere che nel 1878 fonda una comunità cristiana dai tratti socialisti, predicando l’uguaglianza, la giustizia sociale e la solidarietà. Un’utopia rivoluzionaria che fu travolta da un colpo di pistola, e che oggi torna a nuova vita grazie alla voce di Cristicchi. Cosa ci racconta, a distanza di anni, la storia di David Lazzaretti? È stato anzitutto un mistico, quindi un essere a metà tra cielo e la terra. La sua storia ci interroga sull’equilibrio che deve esistere tra spirito e materia per poterci evolvere. Figure come la sua sono santi che possono essere scambiati per pazzi, perché portano una visione estrema rispetto alla realtà esterna. Sembra essere molto legato a questa figura. Lazzaretti ha acceso in me una scintilla che era sepolta nella cenere. La sua storia invita a un viaggio dentro noi stessi, nella sofferenza ma anche nella bellezza dello stare nel mondo. Questo tipo di persone sono capaci di portare luce nelle tenebre, e quindi in questo momento sono preziose. Oggi più che mai siamo all’interno del libro della natura, scritto in un codice per noi illeggibile ma che ci ha dato un avvertimento: fermatevi, guardatevi dentro, ristabilite un altro ordine di priorità nelle vostre vite. C’è chi capirà questo messaggio, e chi invece continuerà come prima. Da una parte ho fiducia nel genere umano, e dall’altra invece temo che nulla cambi. E lei, come ha vissuto questi tre mesi di isolamento? Per me è stato un momento di grande benedizione. Facendo una vita abbastanza zingaresca, mi sono ritrovato a fermarmi per tanto tempo, come non succedeva da quindici anni. In generale è stato un periodo di grande riflessione, questo virus ha generato in me nuovi pensieri. Tutto questo tempo a disposizione si è trasformato in un’opportunità: ho lavorato a un nuovo disco dopo sette anni, ho pensato, ho ideato progetti per il futuro. Crede che ne usciremo diversi, in qualche modo cambiati? Per alcuni sarà un’esperienza indimenticabile. Sia per la paura di perdere la vita, sia per questo tempo di grazia per chi riesce a coglierne il significato. Per molti altri è stata una reclusione forzata che ha incattivito gli animi. Credo che una delle cose positive sia stata la consapevolezza del proprio ruolo nel mondo. Quello che è certo è che, al momento, a essere diverso è il teatro. L’idea di un teatro sul web è molto distante dalla realtà, viene a frapporsi un filtro pesante fra la messa in scena e il pubblico, e quindi dobbiamo aspettare il palco reale. Nel frattempo, sono felice che il Ctb abbia scelto questo mio spettacolo: è stato il nostro matrimonio di collaborazione, e con questa formula potranno vederlo anche persone che normalmente non possono andare in un teatro. Il pubblico di Brescia le dimostra sempre un grande affetto. Le manca questa platea? Brescia è sempre stata un trampolino di lancio per me. Sono contento di aver stabilito un rapporto così intimo con il pubblico di questa città, che mi segue sempre con curiosità. A gennaio potrebbe arrivare una nuova produzione, dal titolo «Happy next. Alla ricerca della felicità»: uno spettacolo a suo modo profetico, perché in questi mesi di quarantena non abbiamo fatto altro che cercare le poche cose che contano nella nostra vita, una personale ricerca della felicità. E forse abbiamo capito che non possiamo sentirci realizzati se non sentendoci parte di un grande mosaico. Dentro il quale ognuno di noi fa la sua parte.

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