Dinner Show al QI Il Lio Bar è tornato

Il primo contest a scuola: vinto. Cinque anni fa e paiono cinque secoli, perché nel frattempo i ventenni Maneskin hanno fatto tutto quello che potevano fare e anche di più. Tutto quello che nessun’altra band italiana aveva mai ottenuto. X Factor (secondo posto che assomigliava al primo). Festival di Sanremo (vittoria). Eurovision (trionfo). Spesso contro pronostico, portando con orgoglio la bandiera del genere più vituperato e ritrito, quel rock and roll ormai più derivativo della musica classifica. Ma in fondo il rock è derivativo fin dalle origini e fin dalle origini se ne frega della somiglianza fra un riff di Robert Johnson e uno dei Led Zeppelin. I Maneskin sono così: vanno da Jimmy Fallon, top show della televisione americana (quindi mondiale) e la prendono con lo stesso spirito di quando siedono al tavolo con Linus e Nicola Savino per «Deejay chiama Italia». Duettano con Iggy Pop, apriranno ai Rolling Stones, conquistano l’Europa e il mondo suonando a Parigi e a New York, macinano record su Spotify per la gioia di Andrea Rosi, presidente bresciano di Sony Music Italy. E qui? Qui si gioca a sminuirli. Sport tipicamente italiano, l’invidia applicata al giudizio. Qui molto più che altrove. Ma i Maneskin giustamente se ne infischiano e proseguono spediti per la loro strada. Hanno tutto, l’energia e le idee, la faccia giusta e la strafottenza, soprattutto sono bravissimi a lavorare sui loro difetti: neanche lontani parenti, oggi, della band acerba degli esordii. Hanno l’anima, l’approccio, il look, tutto. Anche (e non è poco!) l’autoironia di fronte ai più classici degli stereotipi (riascoltare il testo del nuovo singolo «Mammamia» per credere). I Maneskin hanno vinto e vinceranno ancora; chi non ce l’ha fatta e gioca a demolirli perde due volte.

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