La diva della porta accanto che sapeva farsi amare

di Alessandra Tonizzo

Nessuna estroflessione. Né di carne né di carattere. Patrizia Giugno era esuberante eppur composta, aspettava il (suo) momento dietro grandi lenti dentro grandi maglioni. La moda dei Settanta, la vivacità intrinseca di chi punta a Liza Minelli ma fuma tante sigarette – cantando «e allora… porca vacca!». Sono quarant’anni che è mancata la valletta di Corrado Mantoni a «Domenica In», da Brescia alla Rai in pochi lineari passaggi, quando la tivù di Stato debuttava a colori il contenitore di sport-intrattenimento-informazione lungo ore e ore di diretta. La bruna ventenne ha vestito il ruolo di collaboratrice di studio sotto l’assegnamento di Dora Moroni, che lasciava il palco per calcarne un altro. Pochi mesi, poi la lotta in ospedale a causa di una rara forma trombotica, tanto grave quanto letale, che la colpì mentre si esibiva per beneficenza su un palcoscenico il 18 marzo del 1978. In rete, sui social, c’è chi non dimentica il sorriso tentennante, gli occhi al kajal, il timbro basso, e allora ripropone video in cui Patrizia Giugno cincischia con la montatura degli occhiali, prova il passo spedito sotto il microfono aereo che la costringe ad alzare il mento due dita di troppo: spavalda. «TV SORRISI e Canzoni» le dedicò servizi, copertine, e ancora oggi tre fan portano fiori freschi al cimitero di via Milano, da Milano, Firenze, dalla Sicilia. Il web mantiene tuttora tracce di ammiratori affezionati. Di lei si rammenta in Rete «non soltanto la sigla dello show da lei interpretata. Il successo arrivò subito, in progetto c’erano dischi, serate, il ritorno in televisione, ma un terribile male stroncò la sua giovinezza e una breve ma luminosa carriera artistica. Si ricorderanno sempre la sua bellezza, un po’ rustica, la grinta, la freschezza e la sua contagiosa simpatia. Ciao, Patrizia, io non ti dimentico», fa sapere Riccardo dalle maglie di Internet. «Cose lunghe da raccontare sulla mia vita ce ne sono molto poche – si schermiva al debutto sul piccolo schermo, il 2 ottobre 1977 –. Non mi rendo conto di come sono arrivata qua. Sono cose che si vedono nei film americani: l’attricetta che recita nei teatrini di provincia e arriva a Broadway. Ecco, così». In realtà lo scouting fu razionale, come dovrebbe, con la schedina d’iscrizione ritagliata dal giornale, compilata, spedita, pescata per la trasmissione di piazza «Rally canoro» – «perché a me è sempre piaciuto cantare. Più che cantare canticchiare». Corrado la notò Corrado la volle ai provini del format domenicale: «C’erano decine di ragazze – confessava Giugno –, carucce, belline». Scelsero lei, che fino all’ultimo non lasciò il posto di lavoro bresciano, nell’import-export tessile – «si sa mai». LA SUA VOCE, discretamente allenata e grintosamente naturale (durante il «Rally» vinse la tappa a Maggianico di Lecco, con «Albergo a ore»), corrisponde alla sua bellezza verace, molte volte definita «ruspante». Il recto dell’unico 45 giro incide la sigla di «Domenica In» («In ascensore» Giugno aspetta di rivedere l’amore, struggente, divertente), il verso suona un brano di 2 minuti e mezzo, «Tutto sommato»: «È tempo sprecato, è tempo buttato, soffrire per te./ Per le catene io sono negata./ Vivo in santa pace, vedo chi mi pare e piace./ E ripeto ad alta voce: ah, la libertà!». Allacciata al loden di zio Corrado, sotto l’ala pailettata della soubrette cubana Chelo Alonzo, conosciuta dopo una fuga parigina (l’alta moda prima, le collanine freak poi), Patrizia inseguiva il sogno della fama a tutti costi: quelli della tonica fatica che si concede una birra, ammiccando al treno di passaggio. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Suggerimenti