«Il palcoscenico? Per viverci serve una certa vocazione»

di Vincenzo Spinoso
Michele Abbondanza  è danzatore, coreografo e regista  FOTO GIULIA BILETTA
Michele Abbondanza è danzatore, coreografo e regista FOTO GIULIA BILETTA
Michele Abbondanza  è danzatore, coreografo e regista  FOTO GIULIA BILETTA
Michele Abbondanza è danzatore, coreografo e regista FOTO GIULIA BILETTA

A vivere sul palcoscenico, si tende a ragionare sempre in maniera filosofica, istintiva, espressiva. L’obiettivo di un teatrante deve essere la miscela di questi tre ambiti. «Serve anche una certa vocazione», spiega Michele Abbondanza, danzatore, coreografo e regista, ieri ospite alla sede dell’Accademia di Belle Arti Laba per un workshop con gli studenti del percorso didattico di espressione corporea. Attraverso carne, vene, sangue e occhi si trasmette l’espressività: «Noi uomini siamo soprattutto corpo - spiega Abbondanza -. “Espressione corporea” mi fa venire in mente una spremuta di corpo, un’interpretazione della didattica in maniera somatica, nella quale non ci sia troppa testa». Il danzatore, attivo in numerosi progetti con l’associazione Abbondanza/Bertoni, è uno dei principali riferimenti del teatro-danza italiano: «Quando si parla di teatro – spiega il coreografo -, c’è il rischio concreto di spostare il pensiero da una forma espressiva a una forma rappresentativa. Secondo la nostra poetica il teatro è una forma espressiva: io non riproduco il vento disegnando una foglia che vola, io stesso divento vento. Lo scopo della tecnica e dello studio è di superare la contraddizione tra preparazione e spontaneità. Quando la tecnica è molto evidente, l’attore non è bravo. La bravura sta nel condivisione della preparazione tra corpo, cuore e mente. Quando c’è equilibrio tra gli elementi, si evita sia di cadere nell’emotività o nel dramma, realizzando qualcosa di acrobatico, sia di rimanere ancorati ad un’eccessiva razionalità. Se vengono mescolate le tre cose nel giusto modo, affiora ciò che è fondamentale: il sentimento». Gli allievi dell’Accademia Laba faranno tesoro di due giornate di lavoro con Michele, il quale dimostra di voler apprendere, oltre che insegnare: «Con i ragazzi si parte giocando, tra la confusione. Poi si forma il silenzio, che non è solo stare zitti; bisogna rimanere anche fermi. Ai bambini che vogliono imparare a ballare insegno prima di tutto a stare fermi. D’altra parte, il teatro è un capovolgimento del mostrarsi: bisogna avere il coraggio di mostrare quello che non vorresti far vedere. I giovani sono molto più attenti alla contemporaneità rispetto a quanto lo sono io, che in verità mi sento piuttosto distratto; inoltre, sono molto affascinato dai principianti perché conservano una purezza che ormai io ho perso». I tanti anni di esperienza non hanno smorzato l’entusiasmo di un artista che guarda alla gioventù con entusiasmo: «Insegnare teatro richiede tanto, e si rinnova tutti i giorni. Con i ragazzi è come un gioco, tant’è che l’azione in inglese si dice “to play”; ma io li avverto anche che, in questo mondo, si prendono delle pedate, bellissime pedate. Non è come il cinema, che si fa una volta e poi mai più: il teatro lo provi ogni sera, è un omaggio costante al pubblico. Tra attore e spettatore scatta un meccanismo delicato e, come diceva Strehler, al pubblico non si può mentire due volte: loro sanno che stai fingendo, quindi se il tuo personaggio muore, devi farlo morire bene. Lo studio serve perché sul palco si crei un’unica menzogna, e non duplice. Lo spettacolo evoca una forma rituale mistica, quasi sacra, paragonabile alla cerimonia dell’eucarestia: il fedele sa che quello non è il corpo di Cristo, ma nel momento in cui il sacerdote lo spezza, ci crede davvero».•.

Suggerimenti