Hanno passato 30 ore nell’emergenza, senza fermarsi mai. Hanno tutti meno di 30 anni i quattro tecnici del Soccorso alpino della V delegazione bresciana, stazione di Breno (Giacomo Ercoli, Giacomo Capitanio, Davide Damioli e Alessandro Guzza) che con il vice delegato Luca Bonomelli mercoledì mattina sono partiti direzione Emilia Romagna. Angeli della montagna prestati alle zone alluvionate vicine al mare; le loro competenze sono servite per evacuare gli abitanti di tre paesi nel Ravennate travolti dall’esondazione dei fiumi: «All’inizio siamo partiti e non sapevamo nemmeno dove eravamo diretti –racconta Giacomo Ercoli-; poi siamo arrivati a Ravenna e il 118 ci ha assegnato a Sant’Agata di Santerno, una delle zone più colpite dall’alluvione, dove il Santerno aveva raggiunto una quota di 16 metri ed era esondato in più punti».
Soccorso alpino: da Breno a Sant'Agata di Santerno. Il racconto dai luoghi del disastro
Così si sono rimboccati le maniche e hanno fatto quello che sanno fare ovunque: aiutare: «Il nostro compito era quello di evacuare le persone con difficoltà, i disabili, gli anziani e poi i bambini per portarli in una zona sicura». Non era ancora arrivata la richiesta di aiuto che loro erano già disponibili a partire; una squadra di tecnici più quella di forra, lombarda e ancora sul posto. Sono tornati ieri mattina all’alba, «ci hanno detto di riposare, e può essere che, nel caso di nuove esondazioni, dobbiamo tornare sul campo».
Le ruote del mezzo che li ha portati sui luoghi del disastro sono ancora sporche di fango, così come l’attrezzatura da scaricare nella speranza di non doverla più utilizzare; negli occhi le immagini di quello che hanno visto, nel cuore la certezza di aver dato il proprio contributo: «Non è stato facile – le parole del più giovane, Giacomo Capitanio di Darfo, appena 21 anni- trovarsi in una situazione del genere. Avevamo davanti gente che ha perso casa, mamme rimaste separate dai figli, persone allettate che erano impossibilitate a muoversi da sole. È stato complicato anche dal punto di vista emotivo gestire tutto, anche perché era la prima volta». Hanno evacuato borghi interi, con l’acqua che arrivava alle portiere della macchina mentre procedevano, «fermati da chiunque aveva bisogno di aiuto. Tutti i sistemi sono saltati, ci occupavamo di chi incontravamo ed aveva bisogno di noi».
Sulla benna sollevata come mezzo di trasporto eccezionale chi doveva essere allontanato da casa, e poi i gommoni per percorrere quelle che fino a poche ore prima erano strade, «c’era acqua dappertutto e dovevamo fare attenzione, specie di notte, procedere lenti perché non sapevamo cosa c’era sotto». Hanno lavorato nel rispetto delle competenze e dei ruoli con le altre forze in campo, dalla Protezione civile in giù, «per senso del dovere» dicono in coro. Innato, forse, per chi sceglie questa strada: «Siamo tornati ma siamo pronti a ripartire –chiude Davide Damioli- e dare ancora il meglio di noi».•.