la ricorrenza

25 aprile 1945: la primavera della Resistenza bresciana

di Pino Casamassima
«La guerra è finita!»: 79 anni fa un solo grido da Salò, dove il nazifascismo aveva depositato l’ultimo uovo marcio della sua storia, a Caserta, dove era stata firmata la resa

«La guerra è finita!», «La guerra è finita!». È una primavera che profuma di nuova Italia quella della Liberazione. Da Nord a Sud, da Salò – dove il nazifascismo aveva depositato l’ultimo uovo marcio della sua storia – a Caserta – dove era stata firmata la resa – si sente quel grido liberatorio: «La guerra è finita!» Una guerra che proprio nel nostro territorio aveva vissuto il tempo più crudele, con i 600 giorni della Repubblica sociale italiana (Rsi).

La storia

Maddalena: «La guerra era finita. Sé cridìa mìa... Quando siamo venuti fuori dal carcere, da Canton Mombello, dalle finestre, buttavano giù roba. In prigione avevo preso i pidocchi e vulìe mìa portài so, anche sé sèere ‘na poarìna, perché non avevamo più niente». Mussolini non è più a Gargnano. Sta scappando. Sarà ucciso a Giulino, in via 24 maggio, la data dell’entrata dell’Italia nella Grande guerra. Stranezze della Storia. Nella notte del 25 aprile, rumori sinistri. Colonne di fascisti dirette a Milano. Fuggiaschi. Gli alleati hanno superato il Po. Sono oltre Mantova. Milano è Libera. Brescia lo sarà.

Il sollievo

Il 26 aprile il suono delle campane delle Orsoline in città è una melodia di festa. E suona finalmente pure la Tór del Pégol: è il segnale. All’alba del 27 aprile, la città è libera. La gente è in festa. Uomini, donne, vecchi, bambini si accalcano attorno ai carri armati americani. Dalle finestre, dai balconi sventola il tricolore. «La guerra è finita!» Non per tutti. Pretende ancora sangue.

Ma in alcuni paesi si muore ancora

A Bedizzole restano a terra 10 partigiani dopo lo scontro con 2 colonne di tedeschi in ritirata. Ritirata di odio, crudeltà, rabbia del vinto che cerca vendetta come ultimo vessillo. Morti a Rodengo Saiano, a Gambara. L’Armata Rossa è a Berlino, Hitler si è suicidato, Mussolini è morto da due giorni, gli americani sfilano per le strade di Torino, Genova, Milano, chewing gum in bocca e Chesterfield sulle orecchie. Ma in Valcamonica si combatte ancora.

Il primo maggio, i partigiani del Mortirolo si scontrano con una colonna tedesca. Autoblindo, carri armati, cingolati, autocarri, duemila soldati. Si spara tutta la notte. Bortolo Fioletti (Poldo), 18 anni, non saluterà nessuna Liberazione, non sfilerà da nessuna parte. «Mamma, non piangere – aveva scritto pochi giorni prima – perdonami, e pensa se io fossi tra coloro che martirizzano la gente… Io sono qui per nessun altro scopo che per la fede, la giustizia e la libertà, e combatterò sempre per raggiungere il mio ideale… Presto verremo giù, e vedrai che uomini giusti che saremo». Sarebbe stato un giusto, Poldo. «La guerra è finita!» Davvero. E ovunque. Finalmente.

L’eredità

È passato tanto tempo. Di generazione in generazione, i ricordi tendono a sfumare. Qualcuno passa inconsapevolmente dai luoghi che ospitarono dediche: memorie sui muri. Una toponomastica che sbiadisce. Si passa per via Signori, a Tormini, frazione di Roè Volciano, senza sapere chi mai fosse quel Signori. Si chiamava Domenico, era un partigiano, morì in combattimento sui monti della Valsabbia. Si passa per via Boschi, a Baghe, senza conoscere la storia di «Ferro», nome di battaglia del partigiano Ippolito Boschi, 20 anni, morto combattendo. I suoi funerali si svolsero a Salò solo l’8 maggio, dopo la Liberazione. Maria, sua sorella, aveva saputo della morte solo pochi giorni prima: le era stato sempre detto che Ippolito aveva dovuto nascondersi dopo un’azione all’ospedale di Salò per liberare un compagno. Non era vero: in quella azione era stato ucciso. Beh, forse vale doppio, qui, la Liberazione. Godiamocela.

Suggerimenti