Alex Rusconi

«Centocinquant’anni senza Houdini che seppe stregare anche la morte: nel mio libro vi racconto chi era davvero»

di Gian Paolo Laffranchi
Alex Rusconi, autore del nuovo libro su Houdini, con Massimo Polidoro, che ne ha scritto la biografiaHarry Houdini (1874-1926): ha inventato l’escapologia
Alex Rusconi, autore del nuovo libro su Houdini, con Massimo Polidoro, che ne ha scritto la biografiaHarry Houdini (1874-1926): ha inventato l’escapologia
Alex Rusconi, autore del nuovo libro su Houdini, con Massimo Polidoro, che ne ha scritto la biografiaHarry Houdini (1874-1926): ha inventato l’escapologia
Alex Rusconi, autore del nuovo libro su Houdini, con Massimo Polidoro, che ne ha scritto la biografiaHarry Houdini (1874-1926): ha inventato l’escapologia

Partiamo dalle basi: «Si pronuncia Udìni, non Udinì». Così voleva essere chiamato Ehrich Weisz da Budapest, illusionista e attore austro-ungarico-statunitense che veniva al mondo come oggi 150 anni fa. Ad augurare buon compleanno a Harry Houdini è Alex Rusconi, brescianissimo scrittore e divulgatore nonché illusionista e presentatore, docente di prestigiazione e mentalismo, autore di un libro dedicato al re delle evasioni (edito da Paperback in 150 pagine illustrate, da oggi su Amazon e sui principali store on-line). «The Houdini Compendium» non è una biografia: «Quella già esiste, meravigliosamente scritta da Massimo Polidoro che ha appena firmato un contributo in questo senso sull’ultimo numero di Topolino - precisa -. Il mio è un vademecum composto da 52 mini-capitoli: ciascuno racconta un aneddoto, una curiosità, un luogo comune sfatato su un artista straordinario. Il volume è impreziosito dalla prefazione di Andrew Basso, autentico erede di Houdini: un contributo a un’opera a cui tengo molto. l mio intento è dividere la realtà dalla fantasia, restituendo ai lettori il vero Houdini, con tutti i pregi e i difetti. Voglio sciogliere tanti nodi a cominciare dalla scelta del nome d’arte che sbagliamo a pronunciare».

Perché la pronuncia con l’accento finale è sbagliata?
Houdini aveva scelto il nome d’arte omaggiando Jean Eugène Robert-Houdin, un illusionista francese. Aveva deciso di aggiungere una «i» perché voleva italianizzarne il cognome: era di moda, la magìa era sinonimo d’Italia. Cardini, Bellachini, Rosini, Albini: tanti maghi tedeschi, inglesi, americani si sceglievano un nome italiano. Lui non voleva essere da meno. E in tutto il mondo il suo nome d’arte si pronuncia correttamente Udìni. Ovunque, ad eccezione dell’Italia. Tutto nasce da un film degli anni Cinquanta che l’ha reso immortale: «Il mago Houdini», con Tony Curtis e Janet Leigh. Quella pellicola è piena di errori storici e miti inventati che poi sono rimasti vivi nella cultura popolare. Soprattutto, i doppiatori commisero un errore di pronuncia accentando Udinì, non s’è mai capito perché. Sta di fatto che quell’errore è diventato regola.

Houdini amava l’Italia?
Pazzamente. Era devoto ai grandi maghi italiani e si pentì di aver preso il nome da un francese, tanto che a un certo punto scrisse «Lo smascheramento di Robert-Houdin», definendolo cialtrone: per lui quelli veri erano Bosco e Pinetti.

Ancora oggi Houdini è noto a tutti.
Ma non lo conosce realmente nessuno: per tutti è un mago del passato, sul suo conto circolano tuttora tante inesattezze.

È passato alla storia soprattutto per le sue imprese di escapologia.
Termine che lui stesso inventò per indicare l’arte di liberarsi da ogni costrizione, manette, corde, catene, camicie di forza, bauli e chi più ne ha più ne metta. È diventato così un simbolo di evasione e libertà. La sua fama è stata amplificata da libri, pubblicità, canzoni come quella recente di Dua Lipa, «Houdini», oltre che dal cinema e in particolare dal film di cui ho già detto. Ma ha fatto molte più cose di quel che pensi. E non era affatto un mago.

Per questo nel sottotitolo l’ha definito «mago» tra virgolette?
Sì. Non era nemmeno un prestigiatore come Robert-Houdin, anche se avrebbe voluto: in quel modo non riusciva ad avere successo. Era un escapologo, ma l’escapologia è una branca dello spettacolo. Creò la tortura della pagoda cinese: in una cabina di vetro riempita d’acqua fino all’orlo, con i piedi immobilizzati in una gogna, si faceva sollevare da terra e calare a testa in giù nell’acqua della pagoda che poi veniva chiusa con i lucchetti. Aveva idee. Non parlava bene. Era in America dall’età di 3 anni, il padre si esprimeva in ebraico e unghese, la mamma in tedesco: lui parlava tante lingue tutte maluccio. Era un pessimo comunicatore, lo si evince dall’unica registrazione arrivata fino a noi, ma sapeva evadere ed era tanto creativo: questa era la sua forza.

Alex Rusconi, autore del nuovo libro su Houdini, con Massimo Polidoro, che ne ha scritto la biografiaHarry Houdini (1874-1926): ha inventato l’escapologia
Alex Rusconi, autore del nuovo libro su Houdini, con Massimo Polidoro, che ne ha scritto la biografiaHarry Houdini (1874-1926): ha inventato l’escapologia

Un mago del marketing, influencer ante litteram.
Un’icona dell’evasione, come Fregoli per il trasformismo. Io non mi ritengo un fan, ma riconosco la grandezza di Houdini, che ha saputo guadagnare tanto dalla sua arte ed era un megalomane iperattivo: nel libro racconto che è stato anche un pioniere dell’aviazione. Per primo ha volato con un biplano in Australia perché era un cacciatore di record. Gli hanno dedicato un francobollo per questo. Svelava i segreti dei medium, facendosi odiare dall’intera categoria; offrì 10 mila dollari a chiunque fosse riuscito a fare una seduta spiritica davanti a lui senza che ne scoprisse i trucchi: un assegno mai incassato. Pensare che è morto la notte di Halloween, lui che aveva fatto una crociata contro gli spiriti... E quando morì ci fu chi sospettò che l’avesse avvelenato proprio un medium inferocito. Prima di allora, si è ampiamente dedicato al cinema: ha tenuto a battesimo Buster Keaton, dandogli anche il nome d’arte. A Houdini non facevano fare film perché non era esattamente Rodolfo Valentino, era tozzo e bruttino: nessun problema, fondò una sua casa di produzione, fece 4 lungometraggi con tanto di effetti speciali pazzeschi da sceneggiatore, regista, protagonista, naturalmente eroe. Hollywood gli ha dedicato una stella sulla Walk of Fame, riconoscendone la statura da attore.

Queste forme d’arte saranno la kryptonite per la debordante intelligenza artificiale?
Certo, l’AI non può nemmeno «pensare come un mago» perché non è veramente intelligente: le manca il pensiero laterale e non è poco, se l’avesse sarebbe umana e invece non lo è. Fortunatamente, dico. Va bene per la scienza, per la tecnologia, ma non creerà mai arte come possiamo fare noi umani che siamo imprevedibili, inafferrabili. Sappiamo uscire dagli schemi.

A riprova c’è il suo nuovo progetto di show e magìa con Enrico Zani, appena andato in scena al Der Mast.
Uno spettacolo rischioso, perché i nostri stili sono diametralmente opposti e quindi l’accoppiata sarebbe sconsigliata: è il nostro punto di forza. Il debutto è stato un successo. La prima doveva durare 80’, è durata 120’... Siamo amici da una vita, ci stimiamo tanto.

E dopo questo libro, ci sarà ancora Houdini nei suoi piani?
Sì: il 27 aprile farò una conferenza su di lui a Gavardo, per Strabilio. Un discorso che intendo portare avanti.

C’è un particolare della sua storia che l’ha colpita di più?
Quando capì che stava morendo di peritonite, perché l’operazione seguita alla rottura dell’appendice era andata male, disse alla moglie: «Se i morti possono comunicare, io lo farò». Si mise d’accordo su due parole d’ordine che un medium avrebbe dovuto riferirle dopo la morte e lei ogni 31 ottobre per 10 anni organizzò una seduta spiritica per parlare con suo marito. Invano. Quindi Houdini ha vinto la sua battaglia postuma dimostrando che non c’è modo di comunicare dall’Aldilà. Ha saputo sconfiggere, stregare anche la morte, aggirandola.

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