Andrea Scanzi

«Con La Sciagura voglio raccontare i tempi imbarazzanti che stiamo vivendo Per fare satira oggi ci vuole coraggio»

di Gian Paolo Laffranchi
Il 17 maggio al Dis_Play di Brescia Andrea Scanzi a teatro si ispira «all’inarrivabile Giorgio Gaber»
Il 17 maggio al Dis_Play di Brescia Andrea Scanzi a teatro si ispira «all’inarrivabile Giorgio Gaber»
Il 17 maggio al Dis_Play di Brescia Andrea Scanzi a teatro si ispira «all’inarrivabile Giorgio Gaber»
Il 17 maggio al Dis_Play di Brescia Andrea Scanzi a teatro si ispira «all’inarrivabile Giorgio Gaber»

Dalle pagine al palcoscenico, informazione e indignazione vanno a braccetto con Andrea Scanzi: la sua satira politica torna a Brescia il 17 maggio (appuntamento alle 21 al Dis_Play del Brixia Forum). È già in cartellone «La sciagura – Cronaca di un governo di scappati di casa», un bestseller (edito da Paper First) che diventa spettacolo e promette 90 minuti più recupero «di risate amare, analizzando il percorso politico di Giorgia Meloni e ripercorrendo impietosamente le incongruenze del governo, le troppe criticità della destra, l’evanescenza colpevole di una classe dirigente oltremodo imbarazzante».

Il suo monologo è pieno di musica e fervore. C’è il rischio che diventi come un concerto dei Pearl Jam, con la scaletta che cambia ogni sera per non perdere contatto con l’attualità che incalza?
Sicuramente dalla prima data che farò questo lunedì a Pietrasanta all’ultima che sarà il 31 maggio a Thiene cambierà parecchio. A Brescia come nelle altre date ci sarà un’ossatura di base, il 60-70 per cento dello spettacolo; il restante 30 per cento sarà un po’ come il freestyle nel jazz. Quindi ci saranno delle variazioni sul tema. È stimolante poter dire cose nuove di volta in volta, ma come cittadino non lo è per niente.

Tanti spunti la obbligheranno a inserire eventuali protagonisti recidivi fra gli autori dello spettacolo?
È qualcosa che dico anche in scena: gli autori sono loro, i personaggi che racconto. In Italia è così da tempo: la realtà supera ampiamente la fantasia, la satira.

Corrado Guzzanti ha detto che «oggi i partiti sono comitati d’affari: l’idea di commentare quello che ha twittato Salvini fa tristezza, non ispira creatività». È d’accordo?
Ha totalmente ragione. La satira sul ministro Lollobrigida, per dire, la fa Lollobrigida stesso. E lo stesso discorso vale per tanti altri. Venti, trent’anni fa i politici sembravano più difficilmente raggiungibili. Fare satira su Salvini, Di Maio, Meloni... è relativamente facile. Però è doveroso, attenzione: bisogna avere il coraggio di farlo. Ti inimichi un sacco di gente, vieni querelato e censurato.

Come Antonio Scurati, Nadia Terranova, Jennifer Guerra: 25 aprile, cariche di Pisa, diritto all’aborto, tre argomenti diversi, la stessa forma di censura in Rai.
Succede perché questo governo non dimostra di amare la libertà di stampa, non sopporta le critiche, tappa la bocca a chiunque dissenta come e più dei governi che l’hanno preceduto. Lo faceva anche Renzi, lo faceva anche Berlusconi, ma adesso c’è tracotanza, orgoglio nel rivendicarlo: si pensi al caso di Scurati, anziché chiedergli scusa gli danno la colpa dicendo che chiedeva troppi soldi. Inoltre manca una vera capacità di censurare: la Rai è stata sfasciata non solo sul piano dei contenuti, ma anche su quello degli ascolti e della qualità. Con Berlusconi resistevano tante cose belle, anche la satira, c’era Guzzanti che abbiamo nominato prima, c’erano show come quelli di Celentano. La qualità sopravviveva. Adesso, a partire dalla scelta di puntare forte su Pino Insegno, è un flop dietro l’altro. Il caso Scurati è stato creato sul nulla: se gli fosse stata data la possibilità di leggere il suo monologo, le sue parole non avrebbero avuto conseguenze. Invece chi l’ha censurato ha messo a terra una mina che non c’era e poi l’ha pure calpestata. Questa incapacità è un’aggravante, perché contribuisce a un mix nefasto.

I giovani sembrano disinteressati alla politica: è un luogo comune?
Ho sempre avuto molti giovani nel mio pubblico, sia a teatro sia sui social. Un 20-30 per cento di under 30. Tanti giovani mi scrivono, mi chiedono come diventare giornalisti, come fare a resistere. Non so quanto sia universale la mia analisi. I ragazzi li vedo vivi, per quanto smarriti. È chiaro che se allargo il discorso e penso ai dati dell’affluenza al voto, la disillusione colpisce ad ogni età e in particolare i più giovani. Faccio fatica a dar loro torto. Anche la mia generazione di ventenni, negli anni ’90, aveva i suoi menefreghisti, ma questa ne ha di più perché viviamo un momento di sfascio assoluto. Amare la politica dopo tutto quello che ha combinato la politica è complicato. Ma c’è una buona fetta di giovani pronta a impegnarsi.

Brescia, che ha una tradizione cattolico-democratica e ancora soffre delle ferite della strage di piazza Loggia, è una delle poche città del Nord a non avere una giunta di destra. Conta la storia?
A Brescia ho fatto spettacoli, presentato libri: la conosco relativamente. Di certo rimane il peso devastante degli anni di piombo, della strategia della tensione. Piazza Loggia logicamente ha generato una reazione, un’eredità di dolore e di impegno, i cui effetti si sono propagati nel tempo. Una reazione politica e anche civile.

A chi si ispira sul palco?
La risposta nel mio caso è semplice, ma sia chiaro che il mio è un ispirarsi perché lui era Dio e io non sono nessuno: tutto quello che faccio a teatro lo faccio avendo Giorgio Gaber come modello da seguire. Per distacco. Gaber mi ha mostrato come si fa a passare dal riso al pianto, dal divertimento alla rabbia, dalla leggerezza all’incazzatura in un nanosecondo. A me piace così e questo succede nel mio spettacolo: si ride e un minuto dopo parlo di fascismo. Oltre a Gaber, mi piacevano tanto sotto Berlusconi i satirici veri, Luttazzi, Grillo quando non faceva politica, il miglior Benigni, Guzzanti e Crozza. Diciamo che io mescolo la dimensione giornalistica stile Travaglio alla satira di Guzzanti e Luttazzi, tenendo come riferimento sopra tutto e tutti l’inarrivabile Giorgio Gaber.

Travaglio + Luttazzi + Gaber = Scanzi?
Direi 50 per cento Gaber, 30 Luttazzi, 20 Travaglio.

È salito sul palco con i Cccp a Berlino, nelle serate-evento organizzate da Ercole Gentile due mesi fa. Dopo la contestazione subita in quell’occasione ha le spalle più larghe?
Sicuramente. È stata la prima volta in 14 anni di teatro in cui sono stato contestato. Quando sono sceso dal palco, tutte e 3 le sere ma soprattutto la prima e la terza perché in quelle sono stato contestato di più, Giovanni Lindo Ferretti mi ha abbracciato, mi ha fatto i complimenti e mi ha detto «Andrea, tu un giorno li ringrazierai: ti contestano per partito preso, ma questa contestazione ti arricchirà. Ti abbassa drasticamente l’ego, ti fa male sul momento, ma il giorno dopo andrai in scena e non ti sconfiggerà più nessuno». Comunque devo dire che sul palco l’ho vissuta bene: ho retto l’urto, facevo il dito medio, ero entrato in una dimensione punk anch’io. A quel punto stai al gioco.

Libri, giornali, teatro, televisione, anche cinema: quando scriveva per il Mucchio Selvaggio e si firmava Rui Scanzi, una ventina d’anni fa, immaginava di percorrere tutte queste strade?
Era quello che volevo, ma non arrivavo a sognare tanto. Speravo di vivere con la mia scrittura, mi sarebbe bastato essere assunto da un giornale importante. Non avevo minimamente messo in conto la dimensione televisiva né quella teatrale. Non pensavo di diventare amico di Guccini, intervistare Waters o scrivere un libro con Fossati. Non pensavo di fare film. Sono andato oltre le aspettative. Fra dieci anni vorrei essere quello che sono oggi. Ho ottenuto molto più di quello che speravo. È anche il motivo per cui ci sono tante persone che mi amano e altrettante che non mi sopportano: vengo percepito come uno che ce l’ha fatta.

Per quanto riguarda le sue passioni sportive: cosa accadrà prima, Sinner numero uno al mondo o Milan di nuovo vincente?
Sinner numero uno, entro Wimbledon! Già lo è, nella Race. Per il Milan ci vorrà più tempo invece, ahimé.

Musica e comicità: chi le piace oggi in Italia?
Mi fanno ridere Maccio Capotonda, Antonio Ornano, Toni Bonji, Stefano Rapone: Tintoria è un podcast interessante. Se devo vedere un cantautore italiano in concerto, penso a Capossela e Bersani: siamo sempre sui cinquantenni. Fra i più giovani mi piacciono Lucio Corsi e Setak. Cinquant’anni il 6 maggio: come festeggia? Non festeggio, questo «5» davanti mi dà molto fastidio. Ecco perché ho deciso di fare tanto teatro a maggio: passerò la sera del compleanno sul palco a Torino in una data che è già sold out.

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