Le storie

Le giovani donne che stanno cambiando il mondo del vino a Verona

di Monica Sommacampagna

Il ricambio generazionale al femminile sta immettendo un nuovo stile alle cantine del Veronese, dove sempre più donne giovani sono al timone dell’attività. Lo dimostra il fervore di donne under 40 che hanno conquistato traguardi capaci non solo di rendere orgogliosi i genitori, ma di proiettarsi sui mercati internazionali. Le testimonianze potrebbero essere molteplici e su più fronti, abbiamo scelto quattro storie da cui partire.

Le Guaite under 30

Noemi Pizzighella
Noemi Pizzighella

Noemi Pizzighella, 29 anni, perito agrario e sommelier, dal 2015 si è gettata a capofitto nell’attività in campagna e nella cantina dei genitori a Mezzane di Sotto per imprimerle nuovo slancio. La sua grinta l’ha resa titolare di un’attività vitivinicola in cui crede talmente tanto da averle dato il suo nome, ispirato all’etichetta del Recioto di famiglia: Le Guaite di Noemi. «Il mio progetto è nato dalla consapevolezza che il vino non si vende da solo», racconta. «Essendo una piccola nerd di me stessa, mi sono gettata sulla formazione per valorizzare il territorio e la mia cantina». Nel 2016, a 23 anni, è stata la più giovane vignaiola dell’associazione «Le donne del vino» a livello italiano. Oggi è uno dei membri più determinati nel gruppo Giovani del Consorzio vini Valpolicella. «Praticamente ho sposato la mia cantina, anche perché non è semplice trovare un compagno in grado di sostenere il ritmo adrenalinico di un lavoro gestionale che impegna a 360 gradi», spiega, facendo sorridere gli occhi e sottolineando la dedizione che occorre per tenere alto il nome del Valpolicella Doc nel mondo. Convinta nelle potenzialità della comunicazione e del marketing per accrescere il valore di un brand, in otto anni ha portato i suoi rossi della Valpolicella, ottenuti da quattro ettari vitati, a circa 30mila bottiglie e a essere apprezzati in tredici Paesi all’estero, oltre a ottenere premi dalla critica enologica. «Talora mi intristisce il pregiudizio, ancora esistente, che una donna sia inabile a svolgere attività agricole o enologiche», commenta, avvalorando la determinazione che ha dovuto mettere in campo. «Se mi fossi limitata a contare sul mio aspetto per conquistare traguardi non avrei mai scelto vini che invecchiano per più di dieci anni come l’Amarone e che non sono semplici da vendere. Oggi il problema è meno evidente ma nel 2016, nonostante le mie buone intenzioni, ero solo la giovanissima figlia di mio papà». Il prezzo per farsi strada è stato elevato: «Ho investito tutto per portare il mio brand a un livello superiore, attraverso una qualità altissima. La ricetta che mi ha aiutato anche in tempi di Covid-19 e di guerre è stato seminare sforzi e diversificare, senza mollare un secondo».

Le «sorelle Piccoli»

Veronica e Alice Tommasini
Veronica e Alice Tommasini

Hanno avuto la strada relativamente aperta dalla nonna e poi dalla madre Daniela Piccoli, le sorelle Veronica e Alice Tommasini ormai note come «sorelle Piccoli», di 35 e 33 anni, che gestiscono un’azienda vitivinicola sulle colline di Parona con 20 ettari, di cui tredici vitati. Ricca di biodiversità, la tenuta ha una cantina incastonata in una cava di tufo dove, dal 2011, dopo aver effettuato alcune esperienze all’estero, Veronica si concentra sulla clientela e sull’ospitalità, mentre Alice è enologa. La produzione arriva oggi alle 45mila bottiglie, distribuite in Horeca e per il 50% in Italia. «Il mondo del vino lo abbiamo sempre respirato, per noi lavorarci è naturale», aggiunge la produttrice, che fa parte, oltre che de Le donne del Vino anche del gruppo Giovani del consorzio vini Valpolicella. «Per distinguerci abbiamo instillato innovazione nella nostra attività, a partire dal reinnesto di vitigni autoctoni particolari. Al passo con la tradizione in cui siamo nate». La sostenibilità oggi costituisce il cuore pulsante dell’attività delle due sorelle: «Per questo abbiamo spostato il fruttaio sopra la cantina, per usufruire dei benefici di una pigiatura soffice delle uve passite a caduta dall’alto», continua Veronica Tommasini. «La scelta di realizzare una cantina interrata, di installare pannelli fotovoltaici, ad esempio, nasce proprio dal nostro orientamento green». La cantina è conduzione femminile . «Il papà Tiziano ci aiuta soprattutto in cantina e nelle scelte», prosegue. «Abbiamo dato il massimo in quella che ci piace definire una piccola cantina che lavora in mercati di nicchia, la nostra bomboniera con filosofia sostenibile che rispetta la natura anche per le future generazioni. Per questo la seguiamo a “centimetro zero“. Ogni giorno siamo motivate ad apprendere, a partire dalle nostre radici e dal desiderio di perseguire una qualità assoluta».

Le Suavia

Le sorelle di Suavia (Da sinistra) Meri, Alessandra e Valentina Tessari
Le sorelle di Suavia (Da sinistra) Meri, Alessandra e Valentina Tessari

«Abbiamo portato avanti la nostra missione come le nostre nonne quando i mariti erano in guerra. Con fatica quotidiana, la voglia di farcela e un grande senso di responsabilità». Così Meri Tessari, 47 anni, incaricata di presidiare i mercati esteri per Suavia, dipinge il cammino, all’inizio in salita, di un’azienda che oggi vede Alessandra, 36 anni, occuparsi di marketing e comunicazione e Valentina, di 45, impegnata a gestire sia i vigneti che una cantina votata ai bianchi prodotti su colline a circa 300 metri di altitudine. Tutto è nato nel 1983 dalla prima etichetta di casa Tessari, dedita alla produzione di Soave classico Doc. Da quando le figlie hanno assunto la gestione, la vocazione dell’azienda vitivinicola è stata orientata a progetti enologici basati sull’unicità del terroir e delle Unità Geografiche Aggiuntive, concretizzando studi con l’università di Milano e di Verona sulle performance di diversi cru. Un impegno che è valso all’intera famiglia riconoscimenti per la finezza dei bianchi e l’inclusione nella lista dei prestigiosi 100 vini italiani selezionati dalla rivista Wine Spectator per Opera Wine sin dalla prima edizione. «A premiare è stata soprattutto la nostra creatività», sottolinea Alessandra Tessari, attiva in un’azienda che produce 200mila bottiglie, distribuite in 35 mercati. «Abbiamo apportato innovazione a sia livello produttivo sia nel modo di comunicare. L’attenzione al dettaglio sartoriale, il lavoro “di fino“ al femminile e l’apertura ai social hanno fatto la differenza, ad esempio». Anche le sorelle Tessari, in un contesto in cui regnava il pregiudizio che sul trattore ci va solo il maschio, hanno sgomitato per distinguersi ma i risultati parlano da soli.

Eredi di Fulvio Benazzoli

Giulia e Claudia Benazzoli
Giulia e Claudia Benazzoli

Sul fronte del Bardolino Doc, a Pastrengo, le eredi di Fulvio Benazzoli sono entrate in punta di piedi in azienda nel 2009 appena conclusi gli studi e hanno dovuto far ricorso a tutta la loro fibra trentina per mettere in luce il loro talento: «Allora eravamo considerati “fiori senza stelo“ e abbiamo faticato per farci rispettare» spiega Giulia Benazzoli, 35 anni. Dal 2019 è diventata titolare dell’attività di famiglia alla morte prematura del padre insieme alla sorella Claudia, enologa. Se l’imprinting è stato dato dal papà Fulvio, a cui quest’anno hanno dedicato una riserva Trentodoc in onore delle loro origini e per coronare il sogno di uno spumante metodo classico, di fatto oggi controllano al 100% la piccola azienda familiare con una produzione media di 70mila bottiglie. «Noi siamo in ogni scelta che viene effettuata» continua Giulia. «Nostro padre, del resto, ci ha insegnato a non demordere e ci ha messo alla prova senza esitare nell’attività di vendita. Nel corso degli anni abbiamo sbagliato e corretto il tiro per dialogare con la ristorazione che all’inizio non ci riconosceva». Consigliere del gruppo Agivi (Associazione Giovani Imprenditori Vinicoli Italiani), Giulia Benazzoli non nasconde che per una donna ogni traguardo è sofferto. «Squisitamente femminile è la propensione a mettersi in discussione e mostrare una particolare sensibilità per le relazioni e per il mercato», sottolinea. «Oggi tante donne stanno cambiando il mondo del vino e ottenendo riconoscimenti, valorizzando caratteristiche molto richieste». Tra i traguardi non annovera solo i risultati che l’azienda ha ottenuto a New York, in Canada o in Irlanda. «Oggi le persone ci riconoscono come imprenditrici e ci attribuiscono valore anche per le relazioni strette nel mondo professionale e sul territorio», dice soddisfatta. Dopo tanta fatica, le sorelle Benazzoli, anche loro associate a Le Donne del Vino, hanno sperimentato la gioia più recente a Vinitaly: «Molti importatori ci hanno ringraziato per i vini di qualità e per come gestiamo l’azienda. Alcuni ci hanno abbracciato. Perché non dobbiamo dimenticare che tutti, prima di essere donne o uomini, siamo persone». Queste produttrici non nascondono che, ancor oggi, occorre dare e dimostrare di più per farsi strada in un mondo prevalentemente condizionato dagli uomini. Ma non hanno dubbi sull’importanza di credere in se stesse, di aggiornarsi, delegare, condividere valori e progetti. La parola d’ordine è impegno. «Non può andare male se hai il polso della situazione e, in caso contrario, non bisogna temere di chiedere supporto a chi crede nei progetti e nelle potenzialità delle donne», ci dicono con il loro esempio.

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