LO STUDIO

Brescia-Bergamo, ecco perchè sono sempre al top dei contagi

di Lisa Cesco
Tre principali fragilità: l'inquinamento atmosferico da particolato fine, la debolezza della sanità territoriale e il pendolarismo dei lavoratori
Il Centro Studi sul Territorio dell’Università di Bergamo, presieduto da Emanuela Casti, ha incrociato banche dati e innovativi sistemi cartografici per creare una «mappa riflessiva»
Il Centro Studi sul Territorio dell’Università di Bergamo, presieduto da Emanuela Casti, ha incrociato banche dati e innovativi sistemi cartografici per creare una «mappa riflessiva»
Il Centro Studi sul Territorio dell’Università di Bergamo, presieduto da Emanuela Casti, ha incrociato banche dati e innovativi sistemi cartografici per creare una «mappa riflessiva»
Il Centro Studi sul Territorio dell’Università di Bergamo, presieduto da Emanuela Casti, ha incrociato banche dati e innovativi sistemi cartografici per creare una «mappa riflessiva»

•• Per dare un senso a quanto accaduto nell’ultimo anno, i bollettini con i numeri e i dati epidemiologici, da soli, non bastano. Per capire perché Covid-19 ha infierito su Brescia e Bergamo è necessario spostare lo sguardo su una dimensione nuova, quella della spazialità. Materia da geografi, che da mappe e carteggi apparentemente lontani dall’alfabeto dell’emergenza, hanno saputo distillare un’analisi puntuale del contagio. Mettendolo in relazione alle specificità socio territoriali dei luoghi in cui si è diffuso con più prepotenza.

Perché l’infezione da Coronavirus – secondo il geografo Jacques Levy - è una questione al 100% biologica e sociale. Un’intuizione condivisa dal Centro Studi sul Territorio dell’Università di Bergamo, presieduto da Emanuela Casti, che ha incrociato banche dati e innovativi sistemi cartografici per creare una «mappa riflessiva» che aiuta a ragionare proprio sulla dimensione territoriale della pandemia (la ricerca sarà tradotta in inglese e pubblicata a giugno negli Stati Uniti). «Nel nostro studio ci siamo concentrati sulla prima ondata di marzo – spiega Casti, ordinario di Geografia e coordinatrice del progetto -, mettendo in relazione l’evoluzione dei contagi in Lombardia con diversi fattori socio territoriali, da cui sono emerse tre “fragilità” che hanno influito sulla gravità con cui Covid-19 ha toccato le nostre province».

Innanzitutto l’inquinamento atmosferico, con livelli di polveri sottili oltre la soglia, favoriti anche dalla conformazione geografica della pianura padana. È un tema ancora dibattuto se Sars-CoV-2 possa essere trasportato dalle micropolveri, «ma è indubbio che vivere e respirare concentrazioni di inquinanti, le più alte in assoluto a livello europeo, rende più fragile il nostro sistema polmonare, soprattutto con un virus a trasmissione respiratoria». A favorire l’intensità dell’onda pandemica, secondo i ricercatori, è stata anche la mancanza di un sistema assistenziale adeguato, che a fronte delle eccellenze ospedaliere ha lasciato sguarnita la sanità sul territorio. Gli ospedali come argini di una marea travolgente (gli Spedali Civili sono stati il polo che ha accolto il maggior numero di pazienti Covid per unità di tempo, con 950 malati ricoverati contemporaneamente lo scorso marzo), ma chi si ammalava a casa non poteva contare su risposte altrettanto puntuali. Anche l’assistenza agli anziani, con grandi Rsa con in un unico plesso molti ospiti fragili, ha predisposto la diffusione dei contagi «come un cerino nel pagliaio».

L’anzianità dei lombardi non sembra spiegare l’alto tasso di mortalità, perché la composizione della popolazione è in linea con quelle delle altre regioni italiane. A incidere profondamente, è il terzo elemento di fragilità, che origina dall’alta densità di abitanti abbinata al pendolarismo, con ingenti flussi di viaggiatori sui mezzi pubblici nelle ore di punta. «Il pendolarismo lombardo non è unidirezionale, dalla periferia alla metropoli, ma è rizomatico - spiega la ricercatrice -, ovvero va in una miriade di direzioni e crea sempre nuove connessioni, data la presenza di città medie che convivono con il capoluogo».

Una chiave che aiuta a capire perché Brescia e Bergamo siano state investite più violentemente, essendo città dal contesto economico molto dinamico, con una cospicua presenza di realtà produttive e una grande apertura all’internazionalizzazione e all’import-export, aspetti che hanno favorito la diffusione di Sars-CoV-2. «Sulla seconda ondata non poteva essere così nitida, perché sono entrate in gioco molte altre variabili, come i contagi da turismo estivo e la diffusione in tutta Italia del virus, ma le fragilità individuate rimangono una valida chiave di lettura per il presente, e un invito a riprogettare il territorio – riflette Casti -. La pandemia ci ha insegnato che possiamo riappropriarci di un “abitare felice”, sfruttando il lavoro a distanza e la creazione di posti di co-working diffusi sul territorio: è la prospettiva integrata della 'metro-montagna', per contenere il pendolarismo e distribuire la popolazione in un rapporto più equilibrato tra montagna e pianura».•.

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