Dalla moglie agli amici Rivive il dolore per Natale

di MI.MON.
Natale Bassi
Natale Bassi
Natale Bassi
Natale Bassi

Lo avevano ricoverato nel tardo pomeriggio del 19 marzo all’ospedale di Montichiari. Natale Bassi, operaio in pensione di 60 anni, era stato colpito da quel male allora sconosciuto che, ancora privo di una cura testata, ha mietuto in un baleno migliaia di vittime. Il giorno successivo era già morto come rivelò a tutta la palazzina, al numero 54 di via Monte Grappa, a Ghedi, dove abitava dal 1984, il pianto inconsolabile della moglie Maria Bravo, il suo gridare disperato «il mio Lino è già morto». Ed ora a distanza di mesi la scoperta che - se la Magistratura confermerà le gravi accuse nei confronti del primario del Pronto soccorso- le cose avrebbero potuto andare diversamente. Il dubbio che il virus sia stato aiutato dalla volontà umana acuisce un dolore difficilmente consolabile, di fronte ad una disgrazia e ad una ingiustizia immeritatamente subite. «Potete immaginare il mio dolore», dice la moglie troppo scossa e affranta per rilasciare dichiarazioni. La donna è rimasta sola con un figlio disabile da accudire, Massimiliano di quasi 40 anni, che spesso allunga la testa verso il salotto dove si sedeva d’abitudine il padre, certo nella speranza di vederlo ancora. Lino, come tutti lo chiamavano, era molto conosciuto nel quartiere. Lo conferma Enrico Amadei, suo coinquilino. «Una persona sempre allegra, con la battuta pronta e la voglia di scherzare. Aveva sempre parole per metterti allegria e farti star bene. Trasmetteva simpatia a tutta la scala. Lui e la moglie sono persone davvero buone, troppo brave, non meritavano tutto questo. Lino, anche se aveva avuto problemi di cuore in passato, stava benissimo, potrebbe essere ancora tra noi a tenerci allegri. Invece il dolore per la sua perdita si rinnova in tutti noi». SCOSSO ANCHE il sindaco Federico Casali dalla vicenda «che avevamo seguito allora, con la moglie che ha potuto riavere il cellulare del marito solo dopo 15 giorni, e siamo pronti a intervenire ancora. Riaprire a distanza di mesi una ferita, che già non poteva rimarginarsi, è un duro colpo per quella famiglia e ci rigetta nel buio. Aspettiamo soltanto che la giustizia faccia il suo corso e accerti le inquietanti responsabilità, anche se non dobbiamo cadere nel rischio di rileggere tutto il corso della pandemia alla luce di queste accuse. Allora si andava a tentoni di fronte ad un male sconosciuto, il che non giustifica eventuali reati». Intanto in via Monte Grappa si ricorda l’amico, «il vicino rispettoso e gentile» che nessuno ha potuto salutare.

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