l'intervista

Giuseppe Torri: «Le estati italiane? Non torneranno più»

di Luca Canini
Bresciano, 38 anni, è docente di fisica delle nuvole e meteorologia tropicale alla University of Hawaii di Honolulu
Gli effetti delle ondate di calore e della prolungata siccità sul fiume Po: il cambiamento climatico e l'estate anomala stanno mettendo in ginocchio anche il territorio bresciano, che oscilla tra giorni con temperature sempre più roventi e temporali rovinosi
Gli effetti delle ondate di calore e della prolungata siccità sul fiume Po: il cambiamento climatico e l'estate anomala stanno mettendo in ginocchio anche il territorio bresciano, che oscilla tra giorni con temperature sempre più roventi e temporali rovinosi
Gli effetti delle ondate di calore e della prolungata siccità sul fiume Po: il cambiamento climatico e l'estate anomala stanno mettendo in ginocchio anche il territorio bresciano, che oscilla tra giorni con temperature sempre più roventi e temporali rovinosi
Gli effetti delle ondate di calore e della prolungata siccità sul fiume Po: il cambiamento climatico e l'estate anomala stanno mettendo in ginocchio anche il territorio bresciano, che oscilla tra giorni con temperature sempre più roventi e temporali rovinosi

Caldo africano, siccità, bombe d’acqua, alluvioni, incendi: l’estate più estrema degli ultimi anni sta mettendo in ginocchio anche il territorio bresciano, martoriato e riarso da un clima che improvvisamente sembra impazzito. Mentre l’ennesima due giorni di fuoco, con temperature decisamente sopra le medie stagionali, sta per cedere il passo a una nuova sferzata temporalesca, viene da chiedersi che fine abbia fatto quel clima da fascia temperata che accompagnava i mesi caldi all’italiana. In realtà - e fa un certo effetto scriverlo - c’è poco di cui stupirsi: quello che oggi è sotto gli occhi di tutti, compresi i tanti che si ostinano a negare la drammatica evidenza dei fatti (date un’occhiata ai boschi: sembra di essere a novembre), è solo il risultato di un trend peggiorativo che è iniziato da un bel pezzo e che è destinato a proseguire a tempo indeterminato. C’è di che preoccuparsi, insomma, come conferma il professor Giuseppe Torri, 38 anni, originario di Borgo San Giacomo, docente di fisica delle nuvole e meteorologia tropicale alla University of Hawaii di Honolulu dopo gli studi in Italia, alla Bicocca di Milano, la specializzazione all’Imperial College di Londra e un lungo periodo trascorso ad Harvard.

Professore, cosa sta succedendo alle estati italiane?

Bella domanda: non è facile rispondere. L’impressione, supportata dai numeri e dai fatti, è che l’anomalia stia diventando la norma. Anche quest’anno si è ripresentato uno scenario ormai tipico per l’Italia e per i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Detto questo, stiamo vivendo una stagione comunque eccezionale anche nel quadro generale di un progressivo innalzamento delle temperature. Rileggevo in questi giorni i dati pubblicati dal Global Drought Observatory, l’organismo europeo che si occupa di monitorare gli eventi estremi, e già a fine marzo la situazione dal punto di vista delle precipitazioni, sia piovose che nevose, era molto difficile per l’Italia. Si preannunciava un’estate durissima e così è stato.

Ma cosa si è rotto nel clima europeo?

L’anticiclone delle Azzorre, quello che garantiva aria fresca e umida negli anni Ottanta e Novanta e che arriva dall’oceano Atlantico, è stato soppiantato dall’anticiclone africano, che porta aria molto più calda e molto più secca, con ondate di calore pazzesche. Il meccanismo poi è perverso: l’aria calda quando scende dalle alte quote spazza via le nuvole e porta siccità. Il terreno arido a sua volta non riesce più a dissipare il calore nel sottosuolo e lo rilascia nell’atmosfera, facendo salire ulteriormente la temperatura. Un circolo vizioso: più il terreno è arido e più si scalda facilmente, più si scalda e più cede calore, più cede calore e più sale la temperatura, più sale la temperatura e più il terreno si scalda.

Ondate di caldo eccezionale, insomma, intervallate da una serie di eventi sempre più estremi, come l’alluvione che nei giorni scorsi ha colpito Niardo e Braone, in Valcamonica.

O come quella che un anno fa in Germania e in Belgio ha provocato centinaia di vittime. Anche in questo caso è tutto collegato. In un quadro climatico all’insegna delle temperature anomale, nel momento in cui arriva la prima corrente atlantica che porta aria più fresca in quota, a seguito magari di una serie di giornate caratterizzate da un caldo feroce, si innescano temporali convettivi che si nutrono dell’energia che si è accumulata al suolo. Il resto lo fa il terreno secco e arido, che non riesce ovviamente ad assorbire le grandi quantità di acqua che vengono scaricate dai temporali in pochissimo tempo.

Una situazione che riguarda da vicino l’Italia e i Paesi del Mediterraneo ma non soltanto. Basta un’occhiata alle temperature registrate quest’anno in città come Londra o Parigi, dove è stata superata la fatidica soglia dei 40 gradi.

Il cambiamento climatico è ovviamente un fenomeno globale e che interessa tutta l’Europa. L’area del Mediterraneo è quella più esposta, certo, perché rischia di diventare un’estensione delle zone desertiche subtropicali. Non a caso si discute da decenni del progressivo inaridimento delle regioni mediterranee. Il problema però riguarda anche l’estremo Nord. Da parecchio ormai assistiamo al riscaldamento del circolo polare Artico, con temperature di 15-20 gradi più alte rispetto alle medie stagionali che facilitano le ondate di calore a Sud, modificando la struttura delle correnti a getto che scorrono nell’alta atmosfera. Leggendo quei dati mi capitava di chiedermi cosa sarebbe successo in Europa con simili sbalzi: beh, lo stiamo scoprendo.

Uno sconvolgimento provocato dall’aumento delle emissioni di gas serra?

Non è mai facile individuare delle relazioni precise di causa-effetto in un sistema caotico e complesso come l’atmosfera terrestre. Per questo non possiamo scientificamente dire che quella tale ondata di calore è stata provocata da questo o da quel fenomeno particolare. Possiamo però ragionare in termini statistici. Pensate al cancro ai polmoni: se si prende un singolo caso nessuno può dire con certezza che sia stato provocato dal fumo. Sappiamo però che se prendiamo cento persone che fumano e cento che non fumano, la probabilità che sviluppino un cancro ai polmoni è molto più alta tra i fumatori. Quindi: è improprio dire che le ondate di calore siano provocate dal cambiamento climatico, ma di sicuro il cambiamento climatico sta provocando un aumento e un prolungamento delle ondate di calore.

Cosa possiamo fare? L’unica strada percorribile è la riduzione delle emissioni inquinanti?

Credo di sì. Non c’è altro da fare. E mi dispiace che in questo periodo di campagna elettorale ci sia qualcuno che dica che bisogna imparare a convivere con il cambiamento climatico.Ma come si fa? Le proiezioni su Milano ad esempio dicono che nel 2080 potrebbero esserci due mesi consecutivi di ondate di calore. Certo, si tratta dell’ipotesi più pessimistica e dunque altamente improbabile, ma se anche fossero «solo» 40 giorni, come si può pensare di adattarsi a temperature costantemente superiori alle medie per un mese e mezzo? O a rialzi di 15-20 gradi? Probabilmente qualche secolo fa un’estate eccezionale come quella che stiamo vivendo sarebbe capitata ogni cento anni, ma se in futuro dovesse capitare ogni due o tre? È impensabile immaginare di adattarsi al cambiamento climatico punto e basta.

L’Italia e l’Europa qualcosa stanno facendo. L’impressione è che la lotta al cambiamento climatico sia entrata stabilmente a far parte dell’agenda politica. È vero, l’Italia e l’Europa qualcosa stanno facendo. Potrebbero fare di più?

Sì. Ma almeno ci sono delle discussioni, delle idee, vengono fissati degli obiettivi. Tutte cose molto più complicate nel resto del mondo. Ed è un bel problema, perché l’Europa e l’Italia emettono una frazione trascurabile di gas serra rispetto a Cina, India e Stati Uniti. Fino a quando non si adotteranno delle politiche serie di riduzione delle emissioni a livello globale, è difficile pensare che qualcosa possa cambiare in positivo. La speranza è che l’esempio dell’Europa diventi trainante.

Cosa possiamo fare invece noi come cittadini?

Possiamo fare delle scelte migliori, soprattutto come consumatori, ma la vera differenza la deve fare chi ci governa. Con una gestione migliore del territorio e delle risorse, ad esempio, con politiche economiche, agricole ed energetiche diverse. Bisogna agire e bisogna farlo subito in modo sempre più deciso e incisivo, perché sono stati turbati dei cicli naturali che ragionano su scale temporali diverse dalle nostre, su decenni o addirittura secoli, per questo gli effetti benefici di un’eventuale inversione di tendenza li vedremo solo più avanti. Ma se non facciamo niente oggi, presto ci ritroveremo con dei mesi caldi da deserto libico, altro che estati italiane.•. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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