Commercio

Rincari sui costi, ma a Brescia il prezzo del pane non aumenta (per ora)

di Cinzia Reboni

Rincari delle materie prime che si sommano a quelli delle bollette, dei trasporti e degli imballaggi: le imprese della filiera della panificazione bresciana lavorano quasi in perdita. Prima la pandemia, ora il conflitto tra Russia e Ucraina, due Paesi che valgono da soli la produzione di oltre 70 milioni di tonnellate di mais per l'alimentazione animale e 55 milioni di tonnellate di grano tenero per la produzione di pane.

Ma nonostante tutto questo caos, una cosa è certa: rosette e ciabatte a Brescia continueranno ad arrivare sulla nostra tavola – almeno per qualche mese – senza subire rincari. A garantirlo sono gli addetti del settore.

«La situazione non è rosea – ammette il presidente del Sindacato panificatori dell’Associazione Artigiani Francesco Mensi -: la quotazione della farina continua ad aumentare. In poco tempo è passata da 60 a 80 euro al quintale, ma ogni giorno il prezzo lievita. Abbiamo fatto un appello a tutti i nostri associati, affinché il pane comune non subisca un rialzo di prezzi. Tutti hanno aderito. Non vogliamo infierire sul consumatore: in sostanza, i fornai rinunciano a una parte di guadagno per venire incontro ai clienti. Così come abbiamo fatto durante la pandemia, quando anziché far venire la gente in negozio si portava il sacchetto del pane a domicilio, e magari si faceva credito... È il nostro stile, perché il pane è un bene di prima necessità, quanto l'acqua. Ma l’approvvigionamento della materia prima è incerto per il futuro. Per il momento abbiamo immagazzinato un po' di grano, ma a settembre rischiamo il collasso».

«Prima la pandemia, poi la guerra, hanno scombussolato le dinamiche dell'economia mondiale – sottolinea Arturo Lazzaroni, socio Coldiretti e titolare della San Carlo Grani di Rovato -. Tra i costi schizzati alle stelle, c'è anche quello dei concimi, passati da 40 a 120 euro al quintale. Il problema principale per i panificatori non è tanto quello del costo della farina, anche se è aumentata, quanto il prezzo dell'energia, praticamente triplicato».

In passato «si è dato talmente poco valore al grano e al reddito per gli agricoltori, che negli anni la coltivazione di grano tenero è andata riducendosi come superficie coltivata – continua Lazzaroni, fautore del “Panadì”, il progetto a filiera corta realizzato a fine 2021 in collaborazione con 7 fornai della provincia, che prevedeva l'utilizzo di una coltivazione particolare di grano “di forza” tenero -. Le imprese rurali hanno sempre faticato a coprire le spese, e in Italia si è coltivato sempre di meno».

Oggi «potrebbe succedere di tutto, le variabili sono molteplici, compresa la siccità. Per qualche mese riusciremo a tenere il prezzo congelato, ma di sicuro, col nuovo raccolto, le cose cambieranno. Anche se non arriveremo a cifre astronomiche: se un chilo di pane comune costa mediamente intorno ai 5 euro, potrà subire un aumento fino a 6-7 euro. Il che significa che il pane è ancora l'alimento insostituibile in tempi di crisi». I rincari hanno colpito anche, e soprattutto, il settore dei fertilizzanti e dei concimi.

«Siamo arrivati a un aumento del 170%, anche perché i canali di distribuzione sono soprattutto russi e ucraini - afferma l’assessore regionale all’Agricoltura, Fabio Rolfi -. Ma c'è stato anche l'aumento del mais, che adesso si è un po' stabilizzato, e dell'olio di girasole, il cui maggiore produttore del mercato europeo è appunto l'Ucraina. Questi problemi si riverseranno nei prossimi mesi sui prezzi degli alimentari, e quindi sul carrello della spesa. Penso per esempio al latte, pagato agli allevatori fino a 48-50 centesimi al litro perché c'è meno prodotto in circolazione in Europa: per gli agricoltori è un bene, a fronte dei costi crescenti, ma è evidente che poi ricade tutto sul consumatore finale».

«Abbiamo qualche difficoltà a reperire il grano tenero, mentre su quello duro siamo abbastanza autonomi - aggiunge Rolfi -. Problemi di approvvigionamento non ne abbiamo, per quanto ritengo sia necessario aumentare la produzione nazionale di materia prima».

Per Ruggero Guagni, presidente Panificatori di Confartigianato Brescia e Lombardia, «non ci sono problemi di reperibilità: i silos sono pieni, si tratta più che altro di speculazione. Il prezzo delle farine è aumentato del 35-40%, ma la “voce” che ci sta strangolando è quella delle bollette: per la mia forneria di Roccafranca sono passato da mille a tremila euro al mese. Anche aumentando i prodotti del 10% non si riuscirà mai a rientrare da questo esborso extra».

Il costo del pane è stato calmierato. «Gli aumenti sono stati bloccati, cerchiamo di resistere finché si può – conclude Guagni -. Per il momento le scorte possono garantire almeno 5-6 mesi di fornitura regolare, dopo ci sarà sicuramente una variazione di prezzo. Non è tanto il costo della farina, che incide sul prodotto finale per il 10%, quanto la manodopera e l'energia che serve per far funzionare il forno, i macchinari, le celle. Purtroppo al momento non si vede una via d'uscita».

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