«Sentenza Gozzini,
il delirio di gelosia
è una patologia»

di Paolo Cittadini
Il presidio organizzato da Nonunadimeno fuori dal Palazzo di giustizia FOTOLIVE
Il presidio organizzato da Nonunadimeno fuori dal Palazzo di giustizia FOTOLIVE
Il presidio organizzato da Nonunadimeno fuori dal Palazzo di giustizia FOTOLIVE
Il presidio organizzato da Nonunadimeno fuori dal Palazzo di giustizia FOTOLIVE

Come era facile prevedere la sentenza con cui la corte d'Assise di Brescia ha assolto Antonio Gozzini, l'ottantenne ex insegnante accusato di avere ucciso la moglie Cristina Maioli nell'ottobre di un anno fa, ha provocato polemiche e reazioni. Per i giudici togati e popolari l'uomo sarebbe stato affetto da un «delirio di gelosia» che il giorno del delitto l'avrebbe reso incapace di intendere e volere. Da Roma il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede sarebbe pronto a inviare i propri ispettori a Brescia perché facciano chiarezza sulla vicenda. Sulla questione nelle scorse ore è intervenuto direttamente il tribunale ordinario di Brescia che, con una nota ufficiale, ha voluto spiegare l'iter che ha portato alla decisione di assolvere l'ottantenne. Al centro del comunicato c'è proprio il concetto di gelosia, valutato dai giudici non come una attenuante, ma come una vera patologia. «Appare necessario anche ai fini di una corretta informazione, in attesa della stesura della motivazione della sentenza, – si legge nel documento preparato dal tribunale - tenere doverosamente distinti i profili del movente di gelosia, ben noto alla Corte d’Assise di Brescia che proprio in ragione di tale concezione distorta del rapporto di coppia nel recente passato ha emesso in due occasioni la pena dell’ergastolo, dal delirio di gelosia, quale situazione patologica da cui consegue una radicale disconnessione dalla realtà, tale da comportare uno stato di infermità che esclude, in ragione di un elementare principio di civiltà giuridica, l’imputabilità». UN VIZIO DI MENTE che già i consulenti della procura e della difesa avevano riscontrato quando in carcere avevano incontrato l'anziano ex insegnate che a breve potrà lasciare il carcere di Opera per essere collocato in una Rems (o in una altra struttura protetta) dove il suo stato di salute psichica e psichiatrica potrebbe essere monitorato con più attenzione. « Nel corso delle indagini preliminari – sottolineano dal tribunale di Brescia ricordando i passaggi che hanno portato all'assoluzione - i consulenti del pubblico ministero della difesa hanno concluso concordemente, sostenendo che la patologia delirante di cui era ed è tuttora portatore Gozzini escludeva ed esclude in radice la capacità di intendere e volere con specifico riferimento al fatto commesso». Una valutazione contestata però dal pubblico ministero Claudia Passalacqua che per l’ottantenne reo confesso aveva chiesto l'ergastolo e che ora è pronta a fare ricorso in appello contro la sentenza di assoluzione. Per il pm infatti Gozzini avrebbe ucciso, con premeditazione, la moglie che voleva fare curare il marito dalla depressione in cui da tempo era caduto. Per criticare la decisione della corte d’Assise di Brescia che ha assolto l'anziano ieri mattina all'esterno del palazzo di Giustizia si è tenuto un presidio convocato da Nonunadimeno. «Non è stato un raptus, ma un femminicidio - hanno scandito i partecipanti alla manifestazione di protesta durata un'ora circa ed alla quale hanno partecipato alcune decine di persone, uomini e donne -. Siamo davanti a un esempio di giustizia patriarcale. La sentenza, in attesa di leggere le motivazioni, ha ucciso per la seconda volta Cristina Maioli che come unica colpa ha avuto quella di voler fare curare l'uomo violento con cui viveva». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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