MAZZANO

Eremita sociale, svolta dopo il caso del 13enne: battaglia legale dei genitori

Il ragazzino ha ripetuto e superato l'esame di terza media: il caso cambierà l'approccio delle scuole verso gli alunni con problemi di relazione
Nel Bresciano sono circa 2 mila i ragazzi con la sindrome di Hikikomori
Nel Bresciano sono circa 2 mila i ragazzi con la sindrome di Hikikomori
Nel Bresciano sono circa 2 mila i ragazzi con la sindrome di Hikikomori
Nel Bresciano sono circa 2 mila i ragazzi con la sindrome di Hikikomori

Il papà era stato chiaro: «Abbiamo intrapreso una battaglia legale per impedire che in futuro altri ragazzi debbano affrontare la dolorosa strettoia psicologica imposta a nostro figlio». Per questo la licenza media ottenuta dal 13enne di Mazzano è una sorta di emancipazione per tutti i ragazzini alle prese con la sindrome di Hikikomori, un termine giapponese che significa letteralmente «stare in disparte» e viene utilizzato in gergo per riferirsi a chi decide di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi, rinchiudendosi nella propria abitazione, senza aver nessun tipo di contatto diretto con il mondo esterno, talvolta nemmeno con i propri genitori.
Una sorta di eremitaggio sociale che nel ragazzo di Mazzano si è aggravato durante il lockdown al punto da vedersi precluso l’accesso agli esami perché, secondo gli insegnanti, il suo profitto era scarso. Il Tar, in seguito al ricorso della famiglia difesa dal legale Giovanni Rao, ha sancito la riammissione dello studente, poi respinto.
La bocciatura è stata impugnata davanti al Consiglio di Stato, che ha imposto di rifare il test, che ora il 13enne ha superato. Ma la sentenza del massimo grado della giustizia amministrativa ha stabilito un precedente. Oltre a riconoscere la sindrome, ha stabilito che i ragazzi con questo problema devono essere valutati con strumenti calibrati alle loro specificità.
Un punto fermo in un fenomeno che riguarda soprattutto i giovani dai 14 ai 30 anni, principalmente maschi (tra il 70% e il 90%). Anche in Italia l'attenzione è alta. L'Hikikomori, infatti, sembra non essere una sindrome esclusivamente giapponese, come si riteneva all'inizio, ma un disagio sociale che riguarda tutti i Paesi economicamente sviluppati del mondo.
In Italia non ci sono ancora dati ufficiali, ma attraverso la rete degli psicologici si stimano almeno 100 mila casi. Il rifiuto della scuola è uno dei primi campanelli d'allarme dell'Hikikomori. L'ambiente scolastico viene vissuto in modo particolarmente negativo. La dipendenza da Internet viene spesso indicata come una delle principali cause dietro all'esplosione del fenomeno, ma non è così: rappresenta una possibile conseguenza dell'isolamento, non una causa.
Sul territorio bresciano, di Hikikomori se ne possono contare 2-3 per ogni istituto scolastico superiore. Ma si tratta della punta dell’iceberg. La sindrome non ha una classificazione ufficiale e si fatica ad individuare i sintomi perché ancora sconosciuto a istituzioni e genitori. In provincia molti giovani sono in «ritiro» da anni: alcuni non intrattengono rapporti nemmeno con i familiari, e sono soprattutto maschi e di famiglia agiata.
«La condizione è stata fortemente aggravata dalla pandemia - conferma la psicologa-psicoterapeuta Alida Colpani, che collabora come referente territoriale con l’Associazione Hikikomori -. La chiusura imposta dal Coronavirus ha avuto un impatto negativo sia sui ragazzi a rischio ritiro, favorendone il processo, sia al contrario sul lavoro di reintegro in società, interrotto bruscamente. E la presenza costante dei genitori, inizialmente ben vista, ha portato a complicanze derivate da una sensazione di maggiore controllo». •.

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