Il depuratore del Garda è in un vicolo cieco

di Cinzia Reboni

Inutile illudersi: le due strade non si incontreranno mai. Quella del depuratore del Garda è destinata a restare una battaglia ideologica, politica e territoriale. E anche ieri - nonostante tre ore di dibattito in Broletto nel corso della seduta della Consulta per l’ambiente convocata dal vice presidente Guido Galperti -, i nodi più complessi non sono stati sciolti. QUELLO DI GAVARDO è davvero il miglior progetto possibile? Perché il lago di Garda non può gestire i suoi reflui anziché scaricarli in Valsabbia? E perché Peschiera non vuole nel «suo» depuratore - che però è per metà di proprietà di Acque Bresciane - altri che non siano Desenzano e Sirmione? Forse, come ha detto in chiusura il presidente della Provincia Samuele Alghisi, «bisogna ancora approfondire il tema e capire se c’è spazio per trovare soluzioni condivise. La disponibilità c’è. Se ci sono altri progetti da sottoporre, che qualcuno si faccia avanti». Quel che è certo, è che al termine degli interventi del presidente dell’Ato Marco Zemello, di Mauro Olivieri di Acque Bresciane e del professor Giorgio Bertanza dell’Università di Brescia, l’atmosfera si è surriscaldata e sono venute in superficie concrezioni che, al confronto, quelle della condotta sublacuale del Garda sono poca cosa. Zemello ha introdotto il forum ricostruendo l’iter «arrivato a conclusione a luglio del 2019, ma la cui gestazione è iniziata molto prima. Già nel 2012 - ha spiegato - erano state valutate le possibili alternative per una rivisitazione del sistema di collettamento del Garda, un’opera indispensabile, indipendentemente dalla sua collocazione». Il problema del Benaco è che «nell’arco di un triennio la situazione della condotta sommersa Toscolano-Torri del Benaco ha fatto registrare un ammaloramento significativo - ha spiegato Mauro Olivieri, direttore tecnico di Acque Bresciane -. Nel 2016 non era stata riscontrata una situazione così grave, ma negli ultimi anni il problema è emerso in tutta la sua gravità. Le concrezioni hanno eroso anche l’acciaio: lo spessore si è ridotto del 50%. Ci sono voluti un milione e 800 mila per sistemare la condotta: nel 2016 c’erano 30 concrezioni, nell’estate del 2018 un centinaio e prima dell’inizio dei lavori erano salite a 180. Dire che una tubazione potrebbe durare altri dieci o vent’anni è un azzardo. Per questo abbiamo previsto un monitoraggio annuale». Inoltre, «prevedere nuovi scarichi a lago è sconsigliato - ha ribadito Olivieri -: un concetto fissato dalla stessa Regione Lombardia». ECCO DUNQUE le 4 possibili soluzioni e lo studio commissionato all’Università di Brescia, descritto con dovizia di particolari dal suo autore, Giorgio Bertanza. Il quale ha posto delle domande alle quali ha cercato di dare risposte, «senza la presunzione di convincere tutti», ha sottolineato. «Perché si deve intervenire sul Garda? Per il suo lento ma progressivo peggioramento: ogni anno si accumula un milligrammo di fosforo al metro cubo, che detto così sembra niente, ma in realtà stiamo parlando di 50 tonnellate di fosforo in accesso rispetto a quanto il lago può tollerare. Secondo i dati Arpa - ha spiegato il docente universitario - lo stato ecologico e chimico del Garda non è buono, e bisogna arrivare ad un livello soddisfacente entro il 2021. Lo dice la legge». E ancora: perché le acque depurate non possono essere scaricate nel Garda, ma nel Chiese sì? «Perché nel fiume lo scarico è sicuro per la sua capacità di diluizione. Inoltre, non bisogna pensare che un depuratore abbia un impatto ambientale devastante». Perché infine Peschiera non è la scelta ottimale? «Per molti motivi - ha spiegato Bertanza -: la necessità del rifacimento di tratti molto significativi del collettore tra Desenzano e Peschiera, la collocazione attuale del depuratore in un’area sacrificata, con poco spazio per un eventuale ampliamento, ed infine è l’intervento più costoso, superiore di oltre 43 milioni di euro alla soluzione più conveniente. Inoltre, ci sarebbe la necessità di mantenere in esercizio più impianti per soddisfare il bisogno dei piccoli Comuni». I costi di gestione? «Le quattro soluzioni sono simili: vanno dai 2,8 ai 3,4 milioni. Attualmente - ha spiegato Bertanza - paghiamo circa 0,36 euro al giorno per abitante, la metà rispetto ad altri Paesi europei. Se anche la tariffa aumenterà del 10% non sarà un disastro». «Il Garda è un problema nazionale - ha sottolineato Giuseppe Peretti, presidente di Ats Garda Ambiente in rappresentanza della Comunità Montana dell’Alto Garda -. La soluzione devono trovarla Ato e Acque Bresciane: spetta ai tecnici fare le scelte, è la legge che lo impone». Lo studio di Bertanza è stato sgretolato punto per punto dagli interventi del fronte del «no»: Giovanmaria Flocchini ha chiesto per quale motivo la sublacuale non possa essere rifatta. «È durata 40 anni - ha detto il presidente della Comunità Montana della Valsabbia -, se ne mettiamo una nuova durerà probabilmente altrettanto, se non di più, utilizzando le nuove tecnologie. Il Garda è patrimonio di tutti, ma noi riteniamo che sia giusto approfondire. Per questo abbiamo affidato in questi giorni uno studio a consulenti di fiducia: prima di fare una scelta di merito, bisogna avere delle certezze». È TOCCATO a Filippo Grumi di Ambiente Futuro Lombardia spezzare l’apparente quiete mettendo in discussione le tabelle dei punteggi attribuiti nello studio dell’Università alle varie ipotesi. «Se tutte le scelte sono praticabili è evidente che ci sono “pesi” che spostano la decisione da una parte o dall’altra. Se guardiamo le tabelle, tre aspetti su quattro - ambientale, urbanistico e costi - dicono che la soluzione migliore è Peschiera. Solo l’aspetto impiantistico gestionale ed i tempi di realizzazione fanno “vincere” Gavardo. Ma se togliamo questi due elementi discrezionali inseriti da Acque Bresciane, la scelta migliore non è la Valsabbia». La battaglia insomma continua, a cominciare da oggi quando in Consiglio provinciale approderà la mozione per chiedere un’alternativa a Gavardo. •

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