Alimenti in estinzione C’è un bando per salvare il radicchio di monte

di Domenico Benzoni
Gianico  L’area messa gratuitamente a disposizione per coltivare il radicchio di monte in estinzione
Gianico L’area messa gratuitamente a disposizione per coltivare il radicchio di monte in estinzione
Gianico  L’area messa gratuitamente a disposizione per coltivare il radicchio di monte in estinzione
Gianico L’area messa gratuitamente a disposizione per coltivare il radicchio di monte in estinzione

Nel passato, sulle Alpi e sull’Appennino era considerata una delle erbe della sopravvivenza, con tante altre che la natura metteva a disposizione della gente di montagna nelle fasi di carestia. Oggi è entrata a far parte di un mercato di nicchia ed è quasi un prodotto da gourmet. La si può consumare cruda, cotta o conservata sott’olio. Cresce nelle radure montane, di preferenza in zone umide e, tanto per cambiare, è considerata a rischio di estinzione. Il suo nome scientifico è «Cicerbita alpina», ma tutti la conoscono come radicchio di monte. Come detto sta scomparendo, e per contribuire alla salvezza di questa specie, l’amministrazione comunale di Gianico ha fatto una scelta encomiabile: ha deciso di sfruttare un appezzamento di terreno in località Cimosco, a circa 1.800 metri. Si tratta di 300 metri quadri non utilizzati come pascolo che vengono messi gratuitamente a disposizione di chi vuole cimentarsi nella coltivazione della Cicerbita. Viene concessa anche la possibilità di recintare la zona di semina e coltivazione; ovviamente con materiali compatibili con l’ambiente circostante. Con l’augurio che poi, insieme alla salvaguardia della specie, si possano creare le condizioni per un possibile mercato di nicchia. Per tutto questo c’è un bando, e per partecipare bisogna formulare un progetto spiegando come si intende procedere per valorizzare la coltivazione e diffondere la conoscenza del radicchio: le manifestazioni di interesse devono arrivare agli uffici del Comune entro le 12 del 25 giugno. Il Sindaco Mirco Pendoli ricorda che «per la nostra amministrazione la tutela della biodiversità alpina è una priorità, e questa è l’occasione per riportare una delle specie in progressiva scomparsa a essere di nuovo protagonista del nostro territorio». Chi vive sulle montagne camune già conosce e apprezza un’altra erba selvatica spontanea, lo spinacio del buon Enrico o Chenopodium, il cui nome scientifico deriva dalla forma a piede d’oca delle foglie. Anche questo nel passato era un prezioso alimento in caso di carestie e ancora oggi viene raccolto per condire minestre o fare guazzetti. •.

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