Cemmo, la magìa del «pojat» Il carbone spiegato ai bambini

di Lino Febbrari
Cemmo  L’apertura del «pojat» realizzato per i bambini della scuola d’infanzia paritariaSilvestro Salice alle prese con la sua opera
Cemmo L’apertura del «pojat» realizzato per i bambini della scuola d’infanzia paritariaSilvestro Salice alle prese con la sua opera
Cemmo  L’apertura del «pojat» realizzato per i bambini della scuola d’infanzia paritariaSilvestro Salice alle prese con la sua opera
Cemmo L’apertura del «pojat» realizzato per i bambini della scuola d’infanzia paritariaSilvestro Salice alle prese con la sua opera

È una storia secolare quella che ha ripreso vita nel giardino della scuola paritaria per l’infanzia di Cemmo di Capo di Ponte. Merito di un esperto carbonaio della Valsaviore; della sua perizia e dell’interesse suscitato da un mestiere antico e, appunto per secoli, fondamentale. La scena è stata occupata da Silvestro Salice, un arzillo 92enne che con l’aiuto dell’amico Mario Ferri ha allestito un «pojat»: una catasta di legna ricoperta di terra che dopo cinque giorni di combustione lenta, anzi lentissima, ha fornito una discreta quantità di carbone. L’anziano non è nuovo a dimostrazioni del genere e spesso mette a diposizione le sue capacità per mostrare alle nuove generazioni quanto aveva visto fare in gioventù nei boschi del suo paese. «Quando ero ragazzo mi è capitato più volte di assistere al lavoro di quegli uomini che trascorrevano lunghi mesi lontano da casa. Me li ricordo tutti, con la faccia e le mani nere, che giorno e notte accudivano i cumuli per evitare che divampassero le fiamme e annullassero le loro fatiche - racconta Salice -. Da giovane ho provato un paio di volte a farlo senza troppo successo, poi mi sono dedicato alla mia professione di scalpellino e per cinquant’anni mi sono dimenticato del carbone. Sono tornato a produrlo per passione quando ho raggiunto l’età della pensione e da allora mi diletto a girare le scuole della zona per spiegare ai bambini questa antica professione». Come si realizza un pojat? «Si infila un palo nel terreno - spiega l’anziano -, poi tutto attorno si ammucchiano pezzi di legna, meglio se di nocciolo e frassino. Raggiunta la dimensione desiderata si ricopre accuratamente il mucchio con il terriccio, avendo cura di sigillare ermeticamente tutte le fessure preferibilmente col muschio. Il segreto sta poi nello scegliere il momento adatto per calare da un piccolo buco la brace che cuocerà poco alla volta il materiale senza bruciarlo completamente». L’iniziativa capontina è nata dopo che qualche anno fa una maestra aveva assistito a una dimostrazione dello stesso Salice in Valle di Saviore. «I bambini hanno goduto di questa esperienza - spiega la docente -: li ho visti molto partecipi e felici di poter condividere questa attività». La scopertura del pojat è stato un momento di festa non solo per i piccoli ma anche per i loro genitori e gli alpini che hanno preparato le caldarroste. «È stato un progetto esperienziale che abbiamo fortemente voluto - sottolinea il direttore didattico Andrea Federici -. Per i nostri bambini la riscoperta di questa antica usanza è stata estremamente positiva dal punto di vista didattico perché hanno avuto l’occasione di incontrare un vero carbonaio e hanno vissuto direttamente il suo lavoro contribuendo giorno dopo giorno prima alla costruzione del pojat, e poi alle fasi della cottura. Da mesi stavamo pensando a questa iniziativa, l’abbiamo portata a termine vivendo la gioia del risultato. Il carbone? Lo impiegheremo durante l’anno scolastico per altri lavori che abbiamo in mente di realizzare».•.

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