Ossimo: una fabbrica
di sogni che dà una
forma alla felicità

di Claudia Venturelli
Una bicicletta creata attorno a un bambino particolare
Una bicicletta creata attorno a un bambino particolare
Una bicicletta creata attorno a un bambino particolare
Una bicicletta creata attorno a un bambino particolare

Che forma ha la felicità? Per qualcuno quella di una penna con cui finalmente riesce a scrivere e colorare; di una bicicletta che realizza il sogno di un bambino. Per altri è il supporto a un piede e a una gamba che non funzionano come dovrebbero. Ognuno ha una storia; un’esigenza, che possono trovare una risposta nel fablab «OpenDot» diretto dal camuno di Ossimo Enrico Bassi. Lui che ha lasciato la Valcamonica prima per studiare e poi per lavorare, a Miami e a Torino prima di arrivare a Milano, oggi ha una grande responsabilità: realizzare oggetti che non ci sono. Siamo a Milano, in uno spazio aperto a tutti con tecnologie di fabbricazione digitale, ovvero che se connesse a un computer funzionano da sole. Dietro però ci sono menti e sogni. Perchè tra i tanti progetti possibili, quello di dedicarsi al design per produrre felicità migliorando la vita delle persone più fragili è il più grande.

 

«IL VANTAGGIO di queste tecnologie - spiega Enrico - è che sono molto facili da usare e possono lavorare tanti tipi i materiali, legno, plastica e tessuto, per creare oggetti che questi bambini non trovano da nessun’altra parte». È nel fablab che chi ha un progetto e lo vuole tradurre in realtà lo può fare. Si appoggia al team di Enrico la fondazione «Together to go», che assiste i bambini affetti da patologie neurologiche complesse, spesso con gravi deficit motori. All’inizio è stato un supporto per scrivere: un ausilio di plastica leggero e coloratissimo che impugnato permette anche ai bambini con difficoltà di utilizzare penne e colori. Poi sono arrivati tutti gli altri, tutti speciali: «Ce n’è uno a cui sono particolarmente legato- È la bibicletta di Lorenzo, regalata dai suoi genitori per il compleanno. Erano anni che la voleva ma quelle in commercio non andavano bene per le ginocchia e le gambe. Gliel’abbiamo costruita attorno e ci dicono che passa un sacco di tempo in sella». Qui avviene una coprogettazione che permette a tanti di sorridere. Chi fa fatica a camminare, chi non può giocare con i giochi degli altri e qui ne può produrre di suoi; chi vuole essere un più autonomo e grazie a questi lavori lo può fare: «Quando affronti un tema complesso bisogna mettere attorno al tavolo tutte le competenze necessarie. Noi abbiamo imparato a dialogare con i terapisti, loro hanno imparato il nostro linguaggio. Parliamo poi con le famiglie per capire le loro necessità». OpenDot è la seconda pelle di Enrico, che non vuole essere definito come colui che realizza sogni. Ma poco ci manca: «Aiutiamo a materializzare le idee che anno, in parte i sogni sono anche questo. C’è tanto lavoro da fare e noi lo facciamo con umiltà. Acceleriamo i processi di innovazione ma non possiamo fare tutto, serve che chi lavora con noi ci metta buona volontà, studi molto e diventi parte attiva della trasformazione».

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