Vione, un tesoro vicino al cielo che aspetta una valorizzazione

di Lino Febbrari
Un’altra  immagine del prezioso sito a oltre duemila metri di quotaUna vista complessiva  dell’area archeologica di Vione nella località montana «Tor dei Pagà»L’area del fuoco votivo  risalente all’età del Ferro
Un’altra immagine del prezioso sito a oltre duemila metri di quotaUna vista complessiva dell’area archeologica di Vione nella località montana «Tor dei Pagà»L’area del fuoco votivo risalente all’età del Ferro
Un’altra  immagine del prezioso sito a oltre duemila metri di quotaUna vista complessiva  dell’area archeologica di Vione nella località montana «Tor dei Pagà»L’area del fuoco votivo  risalente all’età del Ferro
Un’altra immagine del prezioso sito a oltre duemila metri di quotaUna vista complessiva dell’area archeologica di Vione nella località montana «Tor dei Pagà»L’area del fuoco votivo risalente all’età del Ferro

La loro è un’ambizione precisa: vogliono che i resti delle due fortificazioni risalenti al basso Medioevo e delle altre strutture murarie, compreso un preziosissimo sito risalente all’età del Ferro, scoperte dagli archeologi nell’ultimo decennio diventino un piccolo ma splendido polo museale ad alta quota. Nel frattempo premono perché le ricerche annuali interrotte forzatamente dalla pandemia riprendano la prossima estate, così che i numerosi tesori che gli studiosi ipotizzano ancora nascosti nel terreno possano tornare alla luce per raccontare meglio il passato di questo bellissimo luogo montano. Parliamo del gruppo di appassionati e di esperti che stanno mordendo il freno, e che attendono appunto di poter riprendere a scavare nella località Tor dei Pagà, sui monti alle spalle di Vione, a circa 2.250 metri di quota. «Tutto ha avuto inizio nel 1977, quando il sindaco di allora, Ettore Coatti, ingaggiò alcuni archeologi dell’Università di Trieste – ricorda Luigi Sterli, responsabile comunale di Turismo e Cultura e uno dei leader dei ricercatori dilettanti vionesi - per effettuare alcuni saggi che portarono al rinvenimento di antiche strutture murarie». Dopo quei primi saggi tutto si è fermato per decenni, e perché gli antichi reperti tornassero al centro dell’attenzione è stato necessario attendere il 2009, con l’insediamento dell’amministrazione guidata da Mauro Testini della quale facevano parte (alcuni ne fanno parte ancora oggi, e tra questi il nostro interlocutore) alcuni giovani cresciuti con la passione per la storia locale grazie agli insegnamenti dell’indimenticabile maestro, poeta dialettale e storico Dino Marino Tognali. «Nel 2011 l’ente locale ha formulato un’articolata proposta di valorizzazione del proprio patrimonio storico e archeologico che prevedeva anche indagini di scavo sotto forma di un cantiere scuola aperto a universitari, chiedendo l’intervento della Sovrintendenza archeologica e la collaborazione dell’Università Cattolica - ricorda Sterli -. Inizialmente al progetto hanno contribuito anche il settore Cultura della Regione e la Fondazione Cariplo, poi è stato siglato un accordo di partenariato tra Comune di Vione, Università cattolica, Parco nazionale dello Stelvio e Comunità montana di Valcamonica, un’intesa che ha consentito di aumentare il numero dei sostenitori». Da allora si sono succedute otto campagne di scavo che hanno permesso di riportare alla luce numerose testimonianze del passato: «Monete, punte di freccia, cocci di bicchieri, ossa di animali con evidenti segni di macellazione - elenca Sterli -. Quindi tantissimi indizi del fatto che queste strutture erano abitate in un periodo che si colloca tra XIII e XIV secolo». Una prima ipotesi formulata qualche anno fa sosteneva che le due torri fossero strutture per l’avvistamento del bestiame. Successivi ritrovamenti, soprattutto di punte di dardi di balestra, hanno permesso agli archeologi di appurare che invece si trattava di postazioni difensive. E proseguendo con gli scavi è apparso anche un manufatto risalente a più di 2500 anni fa: lo spazio in cui venivano accesi roghi votivi. «Tra l’estate del 2015 e quella del 2017, al di sotto delle murature e dei piani d’uso della seconda torre è riemersa una più antica fase di frequentazione del luogo, di epoca protostorica, in cui si accendevano ripetutamente fuochi a carattere votivo: un punto chiamato anche “brandopferplatz” - chiarisce Sterli -. Su questo promontorio avvenivano riti pagani, e si bruciavano offrendoli alle divinità oggetti di uso quotidiano. Sono stati rinvenuti frammenti di fibule di bronzo, piccoli pendagli, cocci di vasellame e altri resti ceramici». Tutti i materiali ritrovati durante le campagne archeologiche (come succederà a quelli che verranno alla luce in futuro) sono in fase di restauro e l’intenzione è quella di collocarli in un apposito spazio all’interno del Museo etnografico «’l zuf» di Vione. Per il museo all’aria aperta in quota, invece, serviranno sicuramente nuovi finanziamenti e ovviamente il via libera della Sovrintendenza. •.

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