Traffico illegale di uccelli, cinque in arresto

di Paolo Baldi
I carabinieri forestali hanno sequestrato centinaia di uccelli
I carabinieri forestali hanno sequestrato centinaia di uccelli
I carabinieri forestali hanno sequestrato centinaia di uccelli
I carabinieri forestali hanno sequestrato centinaia di uccelli

Se qualcuno pensa che il traffico illegale di animali sia un fenomeno anche economico di secondo piano, potrà ricredersi leggendo dell’importante operazione portata a termine nelle ultime ore dai carabinieri forestali. Le cinque persone arrestate a vario titolo nel bel mezzo di una compravendita di uccelli selvatici catturati con le reti - venditori e acquirenti - nascondevano nelle mutande (letteralmente) quasi seimila euro. Entrando nei dettagli, i compratori stavano per sborsarne 3.225 (in nero) per acquistare 127 esemplari tra cesene e tordi bottacci e sasselli; i venditori ne avevano 2.530 (sempre ovviamente non dichiarati al fisco): evidentemente, prima di raggiungere i loro clienti nel Bresciano avevano già venduto un discreto stock a capannisti e commercianti lungo il tragitto. Il blitz è stato portato a termine giovedì notte dopo un lungo pedinamento automobilistico dai militari della stazione di Vobarno, assistiti in questo caso dai colleghi del Nipaaf (Nucleo investigativo di polizia ambientale agroalimentare e forestale) di Brescia. I CARABINIERI forestali della stazione valsabbina sapevano dell’incontro con due uccellatori provenienti da Treviso programmato da due acquirenti di Bione e di Agnosine (il primo di 59 anni e il secondo di 61), e li hanno seguiti a distanza dalla Valsabbia. I due sono arrivati a Brescia, nella sede di una notissima uccelleria il cui titolare ha già collezionato una lunga serie di procedimenti penali, e insieme al gestore, un 69enne che doveva essere il terzo acquirente, hanno raggiunto con l’automobile di quest’ultimo il casello di Brescia Est. Sempre controllati a distanza dai militari. Nell’area successiva alla barriera c’è stato l’incontro con gli uccellatori trevigiani, un 61enne e un 35enne, uno dei quali pluripregiudicato e già arrestato in passato per traffico di avifauna e maltrattamento degli animali (era stato anche sottoposto all’obbligo di dimora dalla magistratura di Trento e di Treviso), e quando è iniziato lo scambio, i militari sono intervenuti. I soldi sono saltati fuori dai «nascondigli» citati in apertura durante le perquisizioni nella caserma dei carabinieri forestale di Brescia, dove sono stati anche esaminati i 127 richiami che successivamente, davanti al pm, i due veneti hanno confessato di aver catturato nella loro provincia con le reti. Gli animali erano ancora privi di anellini identificativi (a questi avrebbero probabilmente provveduto i bresciani con qualche fascetta metallica falsificata), e nelle ore successive sono partiti in direzione di un Centro per il recupero della fauna selvatica. POI È TOCCATO alla perquisizione - una delle tante - dell’uccelleria. Il gestore non l’ha presa bene, e avendo fatto anche resistenza ai militari ha rimediato anche questa accusa, oltre a quella di ricettazione che lo accomuna agli altri due compratori bresciani. Nella sua rivendita, oltre a pinze e altri strumenti e materiali utilizzati per manomettere le fascette metalliche identificative da apporre sulle zampe degli uccelli, e insieme a vecchi anellini della Provincia risalenti ai tempi (molti anni fa) della sanatoria per i possessori di richiami vivi non autorizzati, c’era un vero campionario di specie protette: 44 esemplari tra ballerine gialle, passere scopaiole, verzellini, fringuelli e peppole (oltre a tordi e allodole); tutti «legalizzati» con anellini manomessi. L’esito della lunga nottata? Cinque arresti, appunto; ma con un’evoluzione diversa per i protagonisti. La magistratura ha infatti confermato i provvedimenti, poi la posizione dei trevigiani (i quali avevano anche una rete in auto) è stata stralciata per la mancata flagranza del reato: i due hanno comunque confessato, e saranno processati per il reato di furto aggravato ai danni del patrimonio indisponibile dello Stato dai giudici di Treviso. I bresciani, invece, dopo il rito direttissimo sono stati rimessi in libertà ieri mattina in attesa del processo: i reati che vengono loro contestati prevedono una pena fino a otto anni di reclusione e oltre 10 mila euro di multa. •

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