IL DIBATTITO

Donne e lavoro, il caso Elisabetta Franchi: «Assumere solo “anta“? Lo dice lei, ma lo fanno in molti»

di Irene Panighetti
Carolina MarganiAntonella AlbaneseAlberta MarnigaBeatrice NardoIl problema di concIliare maternità e lavoro penalizza le donne e chiede una soluzione
Carolina MarganiAntonella AlbaneseAlberta MarnigaBeatrice NardoIl problema di concIliare maternità e lavoro penalizza le donne e chiede una soluzione
Il caso Elisabetta Franchi: le opinioni delle donne bresciane

Solo donne «anta», che hanno già fatto figli, per rivestire ruoli nelle cariche importanti? La frase della stilista bolognese Elisabetta Franchi apre il dibattito anche nel mondo del lavoro bresciano. Anzi, secondo l’avvocata Carolina Margani, «è una boutade che aveva proprio l’obiettivo di sollevare il problema delle giovani donne che vogliono lavorare e anche diventare madri». Margani, 54 anni, due figli ventenni, legge insomma la posizione di Franchi come «un modo, male interpretato e strumentalizzato, di porre una questione serissima: la maternità come fatto sociale. Invece oggi la maternità è considerata una questione femminile e non sociale, cioè che riguarda soltanto le donne, quindi tutte le misure a sostegno delle madri-lavoratrici sono inconsistenti, non centrate sui reali bisogni. L’ho vissuto sulla mia pelle: tutto ciò per me ha significato potermi dedicare al lavoro con costanza e continuità solo dopo che i figli sono cresciuti».

Di welfare sociale e di servizi parla anche la sindacalista della Cgil Antonella Albanese, convinta dapprima che «Franchi abbia semplicemente nominato un dato di realtà confermato da tante statistiche e indagini anche del sindacato. La discriminazione delle donne nel lavoro è peggiorata negli ultimi anni: 30 mila donne con figli si sono dimesse nel 2020. La stilista bolognese ha messo in parole ciò che accade da anni e che si è acuito con la pandemia: le donne che fanno figli non hanno reti né servizi per poter conciliare lavoro e maternità». Anche secondo Anna Frattini, 34 anni, della Commissione Pari Opportunità del Comune di Brescia, insegnante «la stilista è stata più esplicita di altri per esprimere una modalità di pensiero diffusa». Frattini da tempo riflette sul rapporto maternità-lavoro, anche perché ha scelto di diventare madre e da 6 mesi è incinta:

«È importante per una donna non schiacciarsi sul dato biologico, quindi non ridurre la propria vita all’essere madre, ma è anche fondamentale che il suo ambiente di lavoro non la sminuisca o la ostacoli nella sua realizzazione professionale». Diversa l’interpretazione dell’imprenditrice Alberta Marniga, che è anche presidentessa della Fondazione Comunità Bresciana: «Ciò che ha detto Elisabetta Franchi a me non risulta - sottolinea - : non c’è nessuna persona, donna o uomo, al vertice o comunque con cariche importanti, che si sia mai assentato per due anni. Almeno nella mia esperienza non si è mai verificato: non a me, che ho lavorato incinta fino all’ultimo momento, non, per esempio, a Maria Stella Gelmini che ha partorito mentre ricopriva la carica di ministro della Repubblica. Chi è al vertice di aziende tuttavia quasi sempre ha i mezzi economici per potersi permettere sostegni e avere più opportunità per essere madre e donna con successo lavorativo».

Beatrice Nardo lavora alla Camera del Commercio, ha due figlie ed è anche coordinatrice del gruppo economia del Partito democratico: «Al di là del fatto che, dai dati Eurostat del 2019, la percentuale di donne che ha avuto il primo figlio dopo i quarant’anni in Italia è raddoppiata negli ultimi vent'anni, il commento di Franchi indica una presunzione di mancanza di produttività nel lavoro in una fascia di popolazione in età riproduttiva, che certamente non sarebbe mai stato ricondotto ad un lavoratore uomo», commenta. «Va colto tuttavia - prosegue Beatrice Nardo - un aspetto del ragionamento sul quale vale la pena riflettere: quanto sia impellente ormai puntare su serie politiche di conciliazione tra maternità e carriera, sul riequilibrio all'interno della famiglia del lavoro di cura, sulla garanzia alle lavoratrici di autentica parità di genere ed una adeguata retribuzione. Da questo punto di vista, anche il welfare aziendale può fare molto per sostenere la presenza delle donne sui luoghi di lavoro. Conoscendo le imprenditrici, so che sono estremamente sensibili al tema della parità di genere, che spesso hanno vissuto sulla loro pelle, e che sono assolutamente allineate nel raggiungimento di questi obiettivi». •.

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