STORIE DI ARTIGIANI

La decoratrice Isabella Tosi: «Sogno di abbellire le zone abbandonate delle città»

di Chiara Comensoli
L'artista bresciana della decorazione: «Rendere più gradevoli e colorate le aree urbane dismesse può migliorare il benessere abitativo di chi vive in quei luoghi».

Isabella Tosi è innamorata persa di quello che fa: una passione sanguigna, color rubino, che riversa su tele e pareti; che investe clienti e allievi e finisce con l’accumularsi dentro il cuore. Il suo, certamente, ma anche quello di chi l’ascolta cantare le lodi di ciò che tratta con solenne sacralità: l’arte e la pittura.

Una passione nata in tenera età

Di cosa si occupa?
Nel 2015 mi sono diplomata in decorazione artistica all’Accademia Belle Arti Santa Giulia e da allora mi occupo di decorazioni artistiche parietali su grande formato. Lavoro con privati e aziende per rendere più belli, confortevoli e comunicativamente più incisivi i loro spazi, in base alle funzioni che ricoprono. Come dice Karen Haller: “Il colore vende, ma il colore giusto vende meglio”. Per le aziende questa è un po’ la mia filosofia, per i privati è quella di rendere più “casa” i luoghi che vivono. Ho una predisposizione all’ascolto, che mi ha portata anche a insegnare in Accademia. Il mio lavoro consiste nella decorazione di pareti con varie tecniche artistiche e supporti, ponendo attenzione al luogo in cui si trovano, alle caratteristiche tecniche, alle eventuali problematiche, agli effetti materici e decorativi con calce, pittura lavabile, silossanica, smalti, velature, effetti materici su misura, metallizzazioni.

Come è nata la sua passione?
Da piccola. Mio padre era imbianchino e quando preparava il materiale per i cantieri mi chiedeva di aiutarlo a fare i colori: entrare nel magazzino, sentire l’odore di tinta, sporcarmi le mani con i colori era per me fonte di grande divertimento. Mia zia invece, quando badava a me, mi faceva dipingere sassi, bottiglie di vetro, legni. Questi “giochi” sono poi diventati la mia passione e il mio lavoro.

Quali sono le fasi del lavoro di un decoratore?
Non esiste un decoratore uguale all’altro e ciascuno ha la propria specializzazione sulla base di ciò che lo appassiona. Tutto comincia con un sopralluogo, dopo essere stata contattata dal cliente: qui capisco le esigenze della persona, ma anche quelle dello spazio. La luce, le dimensioni, i problemi strutturali e ottici, il gusto del cliente e della famiglia o dell’azienda che vive quello spazio. Poi vengono le prime bozze e il preventivo: mi piace che i clienti sappiano il più precisamente possibile la cifra che andranno a investire. La bozza viene poi modificata e aggiustata: una volta approvata l’idea, realizzo dei campioni per mostrare la resa pittorica o materica definitiva. Poi si procede con la preparazione del cantiere: si acquista il materiale scelto a progetto, si realizzano disegni preparatori e, infine, il bozzetto prende vita. In loco se si tratta di una parete, in laboratorio se è una tela o un mobile da ridipingere.

Il colore, parte del mio linguaggio

Se potesse decorare un luogo famoso, quale sarebbe?
Provo un grande rispetto per il lavoro altrui e luoghi come San Pietro, o Fondazione Prada, se sono stati concepiti in quel modo, è perché dietro c’è un concept e una progettazione analizzata nel dettaglio: quindi non li modificherei. Il mio sogno, però, è quello di vedere le zone abbandonate delle città tutte decorate. È quello che ha fatto Edi Rama quando è stato sindaco di Tirana. Ha riqualificato parti della città che erano degradate, sporche e pericolose, ripristinando gli intonaci e il colore degli edifici, sostituendo quelli abusivi con parchi e verde. Il mio sogno sarebbe questo: riqualificare con il colore aree urbane dismesse, per rendere migliore il benessere abitativo di chi, in quei luoghi, ci deve per forza vivere.

Cos’è per lei il colore?
Il colore è parte del mio linguaggio. Credo che ogni colore che scegliamo ci rappresenti, racconti qualcosa di noi, del nostro stato d’animo e di che cosa abbiamo bisogno per stare meglio. Saper scegliere le giuste tinte per il contesto in cui opero è importantissimo. Mi permette di essere più precisa nel generare la giusta emozione. Creare la palette adatta per ogni progetto è entusiasmante: così sono tramite della vera essenza di un luogo.

Da cosa prende ispirazione?
Da tutto. Un mio professore diceva: “Ricordatevi di tenere sempre le lampadine accese”. E per me questa frase è sempre stata significativa. Guardare è diverso da vedere. Guardo, guardo sempre. Ogni attimo e dettaglio può essere fonte di ispirazione: un riflesso di luce alla finestra, la facciata di un edificio mentre si aspetta il treno in stazione, il foulard della vicina in fila al supermercato. Noi decoratori non smettiamo mai di guardare.  

La scuola e il futuro

Come le sembra l’ambiente scolastico artistico italiano?
Mi rendo conto di insegnare in un ambiente privilegiato. L’Accademia SantaGiulia è un luogo pregno di attenzione verso lo studente, di voglia di essere polo di accoglienza per chi vuole fare dell’arte e della creatività la propria vita. Ho insegnato nei licei artistici e non è la stessa cosa: purtroppo, dopo la riforma Gelmini il monte ore di disegno si è abbassato, generando minor consapevolezza sugli strumenti che l’arte e la creatività possono fornire a chi sceglie di vivere in questo settore. Gli studenti che arrivano in Accademia sono spesso inizialmente disorientati.

Come vede il futuro dell’artigianato?
Credo che il saper fare dell’uomo sia da sempre una capacità unica e affascinante. Negli ultimi tempi l’intelligenza artificiale sta prendendo piede nel nostro settore, ma sono convinta che nonostante tutte le automazioni, la creatività e l’opera dell’uomo siano sempre capaci di emozionare. Questo una macchina non lo sa fare. L’uomo cerca l’emozione: senza l’amore e il senso di comunità non sopravvive. E l’emozione non può fare a meno dell’arte.

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