STRAGE

Le motivazioni della condanna: «Tramonte era alle riunioni e in piazza»

di Mario Pari
Uno scatto di piazza della Loggia negli istanti successivi allo scoppio della bomba del 28 maggio 1974
Uno scatto di piazza della Loggia negli istanti successivi allo scoppio della bomba del 28 maggio 1974
Uno scatto di piazza della Loggia negli istanti successivi allo scoppio della bomba del 28 maggio 1974
Uno scatto di piazza della Loggia negli istanti successivi allo scoppio della bomba del 28 maggio 1974

Una sentenza motivata in 517 pagine, quella che ha condannato all’ergastolo Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte. Nelle anticipazioni di ieri parecchio spazio viene dedicato alla posizione di Carlo Maria Maggi. Ma è evidente che negli atti ci si sofferma non poco anche sulla posizione di Tramonte.

SECONDO LA CORTE d’assise d’appello di Milano, presieduta da Anna Conforti, nei confronti di Tramonte «deve ritenersi provato che: era talmente intraneo al gruppo di Ordine Nuovo facente capo al Maggi, che aveva conoscenza piena e diretta dell’attività di riorganizzazione degli ex ordinovisti a seguito dello scioglimento del movimento politico, della creazione di una struttura clandestina in grado di attuare il programma eversivo elaborato, dell’operatività della stessa in varie città del Nord già prima della strage, delle interrelazioni fra i vari gruppi di estremisti, del ruolo centrale carismatico di Maggi, delle sue teorie stragiste».

Ma tra i passaggi più rilevanti c’è sicuramente quello relativo al fatto che «Tramonte ha partecipato alle riunioni a casa di Romani, nelle quali si discuteva della concreta attuazione dei progetti eversivi, e in particolare a quella del 25 maggio, nella quale, per ammissione dello stesso imputato, si erano messi a punto i particolari esecutivi della strage ed egli era stato individuato come uno dei possibili esecutori del collocamento dell’ordigno esplosivo nel cestino dei rifiuti». Ma «Tramonte era inoltre presente in piazza della Loggia il 28 maggio, ha taciuto tale ultima circostanza a Felli e in ogni altra sede, ha fornito un alibi falso e non già meramente indimostrato». A tutto ciò vanno aggiunte «le dichiarazioni confessorie, da un lato reiteratamente confermate in più sedi e infine ritrattate, non solo senza una logica, adeguata e convincente motivazione, quanto anche in termini intrinsecamente contraddittori ed incoerenti con gli atti processuali; dall’altro assolutamente non necessitate, ne dettate da intenti autocalunniatori».

Secondo la Corte «gli elementi evidenziati - ciascuno dotato di indubbia capacità dimostrativa e nessuno contraddetto efficacemente - convergono tutti nel senso di una consapevole partecipazione del Tramonte quanto meno alla fase preparatoria dell’attentato, ancorché l’al- trimenti inspiegabile presenza dello stesso in piazza della Loggia dia fondamento al- l’ipotesi di una compartecipazione materiale all’esecuzione dei delitti».

VIENE POI EVIDENZIATO nelle motivazioni che: «Si è obiettato, dalla difesa, che giammai la presenza di un “giovincello” alle riunioni di esponenti di spicco di Ordine Nuovo avrebbe potuto influire sulle determinazioni di questi». Ma la Corte replica che «l’idealismo e il radicalismo giovanile costituivano la spinta propulsiva nel passaggio all’azione».

E «convincono in tal senso, oltre ai dati anagrafici della gran parte dei militanti più attivi» le dichiarazioni di Sergio Latini, di Giampaolo Stimamiglio e di Martino Siciliano». Le dichiarazioni di Stimamiglio sono proprio quelle che hanno coinvolto nell’inchiesta della procura dei minori di Brescia sulla strage l’allora minorenne veronese Marco Toffaloni, attualmente indagato e residente in Svizzera.

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