Toscani, laurea dalla
Laba: «Essere artisti
è un privilegio»

di Jacopo Manessi
L’aula magna della Laba durante l’incontro con Oliviero ToscaniIl direttore dell'accademia Roberto Dolzanelli mentre consegna a Toscani la laurea honoris causa Oliviero Toscani è nato a Milano il 28 febbraio 1942 SERVIZIO FOTOLIVE
L’aula magna della Laba durante l’incontro con Oliviero ToscaniIl direttore dell'accademia Roberto Dolzanelli mentre consegna a Toscani la laurea honoris causa Oliviero Toscani è nato a Milano il 28 febbraio 1942 SERVIZIO FOTOLIVE
Oliviero Toscani alla Laba (Fotolive)

Sul desktop del piccolo Mac grigio tiene una sua foto con Andy Warhol. Piccolo vezzo autoreferenziale. Bianco e nero, anni ’70, stanno a braccetto, quasi incastrati l’uno con l'altro. Longilinei, eccentrici, a modo loro. Il profeta biondo della Pop Art e il giovane fotografo che soggiornava al Chelsea Hotel di New York e frequentava la Factory. Fu solo uno dei tanti, pur nella sua grandezza. Pasolini, per lui, si schierò apertamente sulla prima del Corriere, difendendo i sacrosanti diritti del fondoschiena di Donna Jordan, strizzato in quei jeans a vita alta: «Chi mi ama mi segua», soave motto di libertà.

Seguirono – tra gli altri – Mick Jagger, Lou Reed, 18 anni di campagne per Benetton e una rivista (Colors) che, con malcelata sfrontatezza, annichiliva dogmi puritani e moralistici. Un pilastro alla volta. Storia fotografica, anche se «Tre anni prima avevo già deciso di andarmene» svela. Tra Aids, violenza, guerra, religione e tanto alto.

Cosa ci fa allora Oliviero Toscani alla Laba, in una mattinata di marzo? Inaugura, provoca, riceve. In rispettivo ordine: l’anno accademico 2016/17, più o meno tutti i presenti, una laurea honoris causa in fotografia, conferitagli dal direttore dell'accademia Roberto Dolzanelli dopo quasi tre ore di variegato chiacchiericcio. Sull’attestato poco da dire, anche se lui tiene subito a chiarire laconico: «Non ho più la mamma, e quindi non ci sarà nessuno davvero felice per questo premio». Ce l’ha un po’ con tutti Oliviero, politici in primis (nonostante un passato nella «fanta-giunta» di Salemi, il capitano un certo Vittorio Sgarbi, li sosteneva l’UdC). Prima dell’arrivo leggermente in ritardo dell’assessore alla Scuola Roberta Morelli, si lascia scappare un «gli assessori non servono a niente. O non ci sono o devono andare via prima».

LA QUERELLE tra i due prosegue quindi a suon di vicendevoli punzecchiature, su frasi passate del protagonista, unghie rosse, femminicidio. Amenità e temi delicati. «L'unico modo che ho per farmi ascoltare dai giovani è venire in questi posti. Avete scelto di fare gli artisti, una strada che non sarà di grandissima soddisfazione per tutti – profetizza Toscani –, può portare anche alla tristezza o allo sconforto. A osservarlo, però, è un privilegio: si può essere felici solo facendo quello che si ama. Pensandoci bene, più che un mestiere è una vocazione».

Riflessioni incanalate in una lunga proiezione fotografica: circa 130 scatti pescati dal libro «Più di 50 anni di magnifici fallimenti». Ma la genialità del suo obiettivo si riflette a fatica nelle parole. Sententiae e aforismi sono affare di gente in grado di maneggiarle. Viceversa, il rischio è di fare la parte del santone indisponente, quello che butta una rete in mare, e qualche pesce buono lo pesca per forza, non per bravura: «Siete una generazione imbrigliata da quelle precedenti. Nessun dettaglio è piccolo. I fallimenti sono sempre stati più interessanti di alcuni successi. La personalità il trucco più potente. Se non avrete mai problemi siete dei mediocri». Sono solo alcune delle uscite. Forse è meglio che ognuno faccia il suo mestiere, verrebbe da pensare.

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