alto garda

Valvestino, i livelli al minimo fanno riaffiorare l’antica dogana

di Luciano Scarpetta
Gli effetti di questi giorni roventi portano conseguenze nel bacino artificiale della grande diga. I resti dell'edificio di Lignago si notano dalla provinciale
Il gran caldo ha fatto riaffiorare interamente dalle acque della diga di Valvestino i segni di un mondo che non c’è più
Il gran caldo ha fatto riaffiorare interamente dalle acque della diga di Valvestino i segni di un mondo che non c’è più
La vecchia dogana

Il grande caldo e la siccità giocano con il passato nell’entroterra del Parco alto Garda bresciano. A questo giro non è infatti Enel che per necessità di manutenzione mantiene bassissimi i livelli della diga o perché rallenta il pompaggio delle acque dal lago di Garda: è «semplicemente» il gran caldo che in queste settimane fa riaffiorare interamente dalle acque della diga di Valvestino, i segni di un mondo che non c’è più, ovvero le mura della vecchia dogana di Lignago. L’emergenza climatica ha mutato anche qui e non solo dalle parti del fiume Po il paesaggio che si tramutato da romantico fiordo norvegese dei tempi belli, alle sembianze carsiche di queste settimane. Offrendo immagini per certi versi simili al famoso campanile del lago di Resia, che affiora dalle acque ricordando il paese sommerso nel 1950 a causa, come in questo caso, della costruzione della diga. Qui in Valvestino la costruzione dell’enorme diga di Ponte Cola, bacino artificiale a 124 metri di altezza, inizia nel 1959 ed è completata quattro anni dopo: la diga imprigiona le acque dei torrenti Toscolano e Droanello (di questi tempi corsi d’acqua solo sulla carta), creando il lago artificiale di Valvestino. Si tratta di un’opera faraonica che può contenere 52 milioni di metri cubi di acqua e che ai tempi soddisfaceva a regime il fabbisogno di energia annuale di circa 30.000 abitazioni. Non molti sanno, o perlomeno al netto dei residenti e degli abituali turisti «vagabondi» da weekend, che sotto le acque del lago si nasconde lo scheletro di un’epoca passata: una vecchia dogana, ultimo baluardo di quando la valle era terra di confine.

L’edificio era infatti preposto al controllo delle merci in entrata ed uscita dall’Austria-Ungheria. La Valvestino infatti fu annessa all’Italia solo nel 1916 e per tantissimi anni l’angusta valle era percorsa solo da sentieri e mulattiere, vie lungo le quali si snodava il traffico di carbone vegetale verso la Repubblica di Venezia. In pratica il passaggio da Lignago, località talmente piccola da non essere segnata nemmeno sulle mappe, costituiva il passaggio obbligato per migliaia di viandanti. Non è infatti un caso se il vecchio adagio «Te pasaré da Lignàc» (passerai da Lignago), è stato tramandato dagli anziani fino ai giorni nostri: significava che in quel posto bisognava necessariamente passare per raggiungere la zona del Garda e le valli circostanti

. L’edificio si nota distintamente dalla provinciale, circa tre di chilometri dopo aver oltrepassato il muro della diga, provenendo da Gargnano. Negli anni la dogana ha saputo conservare intatto tutto il proprio grande fascino e non a caso in questi giorni le rovine sono ricercatissime dagli obiettivi degli escursionisti. Il suggestivo, inconsueto e per certi versi inquietante spettacolo è visibile da una piazzuola sterrata posta sul lato sinistro della strada. Ma non manca chi, raggiunto Molino di Bollone, raggiunge a piedi percorrendo a ritroso il lato opposto della diga il vecchio edificio, regalandosi emozioni senza tempo.•. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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