Il Benaco «sacrificato» per non allagare Verona Un’idea degli anni ’30

Nel  2018 furono versati nel lago  17 milioni di metri cubi d’acqua
Nel 2018 furono versati nel lago 17 milioni di metri cubi d’acqua
Nel  2018 furono versati nel lago  17 milioni di metri cubi d’acqua
Nel 2018 furono versati nel lago 17 milioni di metri cubi d’acqua

La finalità è quella di «valvola di sicurezza» per impedire che le piene dell’Adige provochino alluvioni lungo il corso del fiume e che in particolare non finisca sott’acqua la città di Verona. Esigenza sentita sin da tempi storici. L’unico problema, per un’opera concepita quando ancora di «ecologia» si era a malapena iniziato a sentir parlare, è l’utilizzo del lago di Garda come vasca di laminazione riversando nel Benaco acqua molto differente per qualità e temperatura: un azzardo in termini ambientali per l’ecosistema lacustre, ma quando l’opera fu realizzata questo problema non era tenuto in considerazione. La costruzione della galleria Adige-Garda è infatti iniziata nel 1939 e si è conclusa nel 1959. Si tratta di un’opera idraulica lunga quasi 10 chilometri con un diametro di 7 metri che fa defluire le acque del fiume Adige all’altezza di Mori e sbuca sulla riviera del lago a Torbole, sullo spicchio trentino del lago. La sua portata a regime è di 500 metri cubi al secondo e il passaggio dell’acqua sfrutta, per scendere rapidamente verso le chiuse a lago, il dislivello di 100 metri tra le due estremità del tunnel. La necessità di costruire quest’opera nasce soprattutto per difendere la città di Verona dall’allagamento. L’idea fu quella del «bypass» verso il lago di Garda, che grazie al suo grande bacino può contenere una parte delle acque di piena, che poi vanno a diluirsi in tempi relativamente rapidi con quelle del lago stesso, anche quando erogate in grandi quantità in tempi brevi. Gli interrogativi sull’impatto ambientale di queste manovre iniziano a sorgere un paio di decenni fa, con prese di posizione in particolare dalla Comunità del Garda. L’ultima grande apertura della galleria Adige-Garda risale alla fine di ottobre del 2018, quattro anni fa, e non fu per manutenzione ma per una reale emergenza: avvenne in occasione dell’ondata di maltempo che flagellò tutto il Trentino e il nord Italia. In quel caso si trattava di una situazione di necessità, ma furono scaricati nel lago 17 milioni di metri cubi d’acqua in sole 16 ore di apertura: una «terapia shock» che causò polemiche e proteste da parte delle istituzioni gardesane. La decisione di gettare all’occorrenza le acque dell’Adige nel Garda è figlia di un protocollo ormai datato 2002 stipulato tra la Provincia autonoma di Trento, le Regioni di Lombardia e Veneto, l’Agenzia interregionale per il fiume Po, l’autorità di Bacino del fiume Adige e quella del Po. Non tiene però conto dei cambiamenti climatici, di una più evoluta attenzione e all’integrità degli ecosistemi e soprattutto della possibilità purtroppo non remota che, in caso di precipitazioni particolarmente abbondanti, possa avvenire il ripetersi di episodi analoghi all’ottobre 2018, quando il Garda si «sacrificò» per salvare Verona, subendo un impatto che mai compiutamente valutato. L.Sca.

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