Padenghe ospitava il «vertice» delle mafie

di Valerio Morabito
Da una recente sentenza della Cassazione emergono i legami e le infiltrazioni della criminalità organizzata con il lago di Garda
Da una recente sentenza della Cassazione emergono i legami e le infiltrazioni della criminalità organizzata con il lago di Garda
Da una recente sentenza della Cassazione emergono i legami e le infiltrazioni della criminalità organizzata con il lago di Garda
Da una recente sentenza della Cassazione emergono i legami e le infiltrazioni della criminalità organizzata con il lago di Garda

La criminalità organizzata pianificava strategie e tattiche in una villa di Padenghe. In un’abitazione «mimetizzata» in un tranquillo quartiere di case-vacanza, gli esponenti dei clan dell’’ndrangheta stringevano accordi con esponenti della Sacra Corona Unita e supportavano la latitanza del boss Giuseppe Pesce dell’omonima famiglia di Rosarno. IL RADICAMENTO delle mafie sul Garda e in particolare in Valtenesi è «narrato» e certificato nelle motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione che ha confermato le condanne a otto delle dieci persone accusate a vario titolo di fare parte di «un’associazione di tipo ’ndranghetista aggravata dalla disponibilità di armi». Il processo è stato imperniato sulle intercettazioni effettuate con una microspia piazzata dalla Direzione investigativa antimafia nell’abitazione di Padenghe. Per quanto riguarda Salvatore Barone - proprietario dell’abitazione - la Cassazione ha annullato la sentenza della corte di appello di Reggio Calabria limitatamente al trattamento sanzionatorio rideterminato in otto anni di reclusione. Le responsabilità del 54enne originario di Taurianova, ma di fatto domiciliato in Valtenesi, sarebbero tuttavia chiare per i giudici della suprema corte. Annullato anche il verdetto - per il solo capo di imputazione del favoreggiamento di Giuseppe Pesce -, a Sergio Biagio 52enne calabrese mentre sono state confermate le condanne per complessivi 30 anni di carcere ad Antonella Bartolo, Domenico Bartolo, Rossana Bartolo, Mercurio Cimato, Giuseppe Ciraolo, Giorgio Antonio Seminara e Salvatore Zangari. Tra i tanti vertici intercettati durante l’inchiesta spicca nelle carte dei tre gradi di giudizio quello dell’estate del 2014 quando - si legge nelle motivazioni della sentenza della Cassazione - nella villa di Barone si sarebbe svolto un summit della famiglia del boss Umberto Bellocco. All’ordine del giorno accordi, in parte già conclusi, con esponenti di altre associazioni criminali e in particolare con esponenti della Sacra Corona Unita come Teodoro Crea e Cataldo Caporosso regista delle infiltrazioni della criminalità organizzata nel mercato ittico di Taranto e del traffico di cocaina come emerso dall’operazione Lampo dei carabinieri. Tutte le strategie criminali del sodalizio sarebbero state avallate dall’ultraottantenne Umberto Bellocco che dopo 21 anni di carcere avrebbe incontrato Cataldo Caporosso affidandogli l’incarico di boss. Una nomina che sarebbe passata proprio da incontri tenuti nella residenza di Padenghe. LA SENTENZA pronunciata recentemente dalla Cassazione definisce il quartier generale in Valtenesi un punto di incontro «di vari membri del sodalizio 'ndranghetista con altre organizzazioni mafiose». Secondo le conclusioni dei giudici della corte suprema, Salvatore Barone «non si sarebbe limitato a tenere un atteggiamento compiacente, ma avrebbe mostrato piena disponibilità ad attuare il programma di reintroduzione in attività illecite dell'anziano boss Umberto Bellocco». Quanto al favoreggiamento della latitanza di Giuseppe Pesce, per i giudici tutti gli imputati hanno giocato un ruolo strategico e organico, anche se in alcuni casi limitati alla cessione del proprio documento di identità al boss di Rosarno in fuga dalla giustizia. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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