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Prevalle, il Tar interviene sul caso ma la bomba ecologica resta

di Alessandro Gatta
La sospensiva dell’ordinanza sullo svuotamento del capannone riempito di plastica rinvia soltanto un problema aperto

È ormai passato un altro anno e la «bomba ecologica» di Prevalle giace ancora lì, come da un quinquennio a questa parte. E chissà se ora non sarà il Tar a dare una scossa.

La bomba ecologica

Parliamo degli oltre tremila metri cubi di plastica pressata stoccati dal 2019 in un capannone della zona artigianale di via Campi Grandi. Lo stabile da allora è sotto sequestro per raccolta, recupero e smaltimento di rifiuti non autorizzati, anche se i proprietari, estranei alla vicenda, si sono trovati in un clamoroso vicolo cieco.

In sintesi gli affittuari dell’epoca, una prima società e poi altre in subaffitto, erano stati autorizzati dalla Provincia ma solo fino a un certo quantitativo (da qui sono scattate le indagini), e oggi quelle società sono irreperibili o fallite.

L'ordinanza comunale e la risposta della proprietà

Nel luglio scorso, il Comune aveva firmato un’ordinanza per l’installazione di impianti antincendio, entro 60 giorni, per motivi di sicurezza, ma questo significherebbe svuotare il capannone, installare gli impianti e rimettere i rifiuti dove sono. Difficile se non impossibile, motivo per cui la proprietà ha fatto ricorso al Tar: la sentenza è attesa per il 5 giugno, e nell’attesa il Tribunale amministrativo ha emesso una sospensiva: l’ordinanza resta congelata almeno fino alla sentenza.

«A luglio saranno 5 anni che questa vicenda va avanti - commenta amareggiato Ermanno Bini Chiesa, la cui famiglia è proprietaria dello stabile -. Siamo sfiniti, non abbiamo più risorse per sostenere questa situazione che genera costi correlati insostenibili, dalle assicurazioni agli avvocati».

Il rischio ambientale

C’è poi il concreto rischio ambientale, richiamato da una relazione dei vigili del fuoco - che rilevavano rischio di incendio «scarso per cause interne ma alto per cause esterne, dovuto sia alla presenza di altre attività produttive, sia a eventuali indebiti accessi» - e dallo stesso Tar, secondo cui il rischio «sembra evitabile provvedendo alla rimozione e allo smaltimento dei rifiuti».

Del resto, scrive il tribunale, la Provincia aveva invitato il Comune a provvedervi già il 7 marzo 2022, oltre un anno prima dell’ordinanza impugnata, e altrettanto avevano fatto i ricorrenti il 30 marzo 2023».

Un costo elevato

Per rimuovere la plastica servirebbero almeno 400mila euro, e solo per iniziare, poi si proseguirebbe a consuntivo (a fine lavori). «Il pensiero di quello che può succedere - continua Bini Chiesa - è come una spada di Damocle. Il nostro timore, in questo momento, è che dopo le elezioni si debba ripartire da capo. Intanto qualcuno sta pagando, e quel qualcuno siamo noi».

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