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Lomasko: «Grazie Brescia, qui l'arte è libera, i giovani cambieranno la Russia»

di Sara Centenari e Gian Paolo Laffranchi
Si chiude domenica 8 gennaio la mostra in Santa Giulia a Brescia: ampia intervista alla protagonista della personale intitolata "Victoria Lomasko. The Last Soviet Artist"
Victoria Lomasko: dall’11 novembre a Brescia, a Santa Giulia, con «The Last soviet artist». Domenica 8 gennaio 2023 l’ultimo giorno
Victoria Lomasko: dall’11 novembre a Brescia, a Santa Giulia, con «The Last soviet artist». Domenica 8 gennaio 2023 l’ultimo giorno
Da «Starship» a «Escape», galleria di immagini dalla mostra «Victoria Lomasko – The Last Soviet Arti

L’hanno definita «l’ultima artista sovietica», ma lei è d’accordo fino a un certo punto: il talento e la creatività «affiorano ovunque, in questo e in ogni momento, anche e soprattutto lontano dai riflettori». Le etichette semplificano, quindi non fanno al caso di Victoria Lomasko che alla via più comoda ha sempre preferito la verità. Costi quello che costi. «La più grande artista sociale grafica russa» - definizione in questo caso della stampa anglosassone - è pronta a dire ciò che pensa e ad agire di conseguenza, con le idee chiare di chi sa cos’è l’arte: prima di tutto «libertà». C’è voluto coraggio per lasciare la madre Russia da dissidente, incompatibile con il regime come ogni artista deve essere, e portare la sua mostra alla nostra città, che dal canto suo l’ha accolta come già aveva fatto con Badiucao l’anno precedente. L’abbraccio nient’affatto virtuale con l’artista cinese, benedetto dal Comune e da Fondazione Brescia Musei, sancisce una convinzione diffusa che qui ha messo radici: le rivoluzioni si fanno anche (soprattutto?) così, giorno per giorno, con scelte inconsuete figlie di strategie in controtendenza. Puntando su un concetto di cultura sinonimo di civiltà. Chiude oggi, «The Last Soviet Artist». Dopo due mesi di residenza nelle sale del Museo di Santa Giulia. Isolation, Escape, Exile, Shame, Humanity (isolamento, fuga, esilio, vergogna, umanità) i titoli dei suoi 5 lavori site specific. Una lente di ingrandimento su cos’è l’umanità, senza l’ossessione di trovare una risposta a domande più grandi di noi, nella consapevolezza di quanto già potersele porre insieme sia un passo avanti verso una soluzione, una prospettiva.

Due mesi bresciani fra il 2022 e il 2023, accolta in concomitanza del Festival della Pace da una città che diventa quest’anno Capitale della Cultura e che sta lavorando da tempo per crescere sotto questo punto di vista. Victoria, se ripensa al suo arrivo qui quale immagine le sovviene per prima?
Sono una di quelle persone che non amano farsi un’idea di un posto prima di averlo. Mi piace arrivare tabula rasa, studiare il luogo e scoprirlo pian piano. Forse dipende anche dal mio essere artista di reportage, con un’indole da documentarista. Tutti i posti che ho visto mi sono parsi più incredibili di quanto avrei pensato. Forse perché dopo aver lasciato la Russia qualsiasi Paese mi sembra bello. Brescia è bella di suo. Non dimenticherò la mia prima volta in castello. Del resto è tradizione di lunga data per gli artisti russi venire a visitare l’Italia. Un motivo c’è.

Qual è il suo, a posteriori?
A Brescia la luce è diversa, il cielo e le strade hanno altri colori. C’è arte, c’è libertà. Mi sono incamminata in salita e ho visto due persone entrare in una chiesa. L’ho fatto anch’io e sono rimasta impressionata dagli affreschi. In ogni altra parte del mondo sarebbero patrimonio di un museo, qui ognuno può entrare e ammirarli liberamente.

Nel 2023 sopravvivono le dittature, eppure le distanze sono azzerate dal web. I giovani hanno la forza di cambiare le cose?
Io credo di sì. Sono fan di Husky, rapper russo che racconta di panelka e di chrushevka, di case popolari e prefabbricati, una realtà opprimente da cui evadere attraverso la musica, le parole.

«Escape», particolare dell'opera esposta a Santa Giulia nella mostra «Victoria Lomasko – The Last Soviet Artist»
«Escape», particolare dell'opera esposta a Santa Giulia nella mostra «Victoria Lomasko – The Last Soviet Artist»

 

 

A Brescia un rapper ucraino, Slava, canta contro la guerra, ascolta artisti russi e condivide lo stesso desiderio di pace.
Penso che sia un buon artista perché capisce e non mette i suoi colleghi russi sullo steso piano di Putin. E penso a un gruppo, di San Pietroburgo, gli Shortparis, alla loro protesta creativa. La Russia è un enorme muro grigio. Anche fra i monumenti nascono le erbacce, crescono piante selvatiche che resistono alle rovine. Gli artisti sono così. Io mi sento una di quelle piante. Un’erba da campo, selvatica.

Oggi come oggi si considera più ottimista o pessimista?
Non esistono periodi storici in cui non si veda una luce, una prospettiva. E non succede mai che la generazione precedente sconfigga la successiva. Navalny o chi per lui potrà riunire un’opposizione intorno a sé. In ogni caso i giovani vincono sempre. La vita resiste e s’impone, alla fine.

Alla base delle sue opere c’è una strategia o è innato questo modo di esprimersi trattando in modo accattivante temi dolorosi, lanciando messaggi forti e chiari a tutti senza respingere all’ingresso nessuno? 
The Guardian mi ha descritto come una artista «brutale e buffa» nel contempo. Mi sono sentita finalmente capita. in effetti spesso sento sia rabbia per le ingiustizie, sia empatia per le persone semplici. Chi fa arte deve sempre cercare un terreno comune di compassione per avvicinarsi alla gente. È il dono che può fare al prossimo. Se dai attenzione e rispetto a chi non ne ha, lo vedrai cominciare a guardarsi e comportarsi per primo con dignità.

Da quando è iniziata la guerra, cosa l’ha spinta a sperare in futuro migliore?
Quando è scoppiato il conflitto, sui social ho letto di tutto contro di me. Che avrei dovuto smettere di disegnare e piazzarmi davanti a un consolato russo con il cartello «no» alla guerra. Oppure diventare volontaria e dare tutti i miei averi ai profughi ucraini. Io, che sono scappata solo con una gatta, una valigia e un visto molto breve, senza prospettive se non la fuga, leggendo quelle cose ho provato solo rabbia. Potevo capire gli ucraini, ma quando le lezioncine arrivavano dagli europei... Poi mi sono ritrovata in una residenza per artisti in difficoltà, in una zona a rischio, e ho conosciuto una ragazzina ucraina sempre molto contenta di vedermi. Parlava in russo, voleva giocare con me, andare in bici. «Perché sei così buona con me mentre l’esercito russo sta bombardando la tua città?», le ho chiesto. «Non sei tu a bombardare, ma le persone da cui sei scappata», mi ha risposto. La prima cosa gentile che mi sono sentita dire dall’inizio da guerra. Mi sono allontanata da lei perché ho iniziato a piangere e non riuscivo a smettere. Sono andata in camera mia e ho cercato tutti i modi possibili per inviare i miei soldi ai profughi ucraini in Russia. Così funziona la bontà, così deve funzionare l’arte: solo la sua forma più alta può arrivare all’altezza di quella ragazzina.

Lei esce con taccuini e fogli per entrare in luoghi diversi, dal carcere minorile alle case delle prostitute, alle aule di tribunale per processi sulla libertà di espressione. Dove si affrontano signore che brandiscono icone sacre ortodosse e ragazze che invece inneggiano alle Pussy Riot. Disegna mentre i fatti accadono? 

La mia tecnica è live: qui si vede che si tratta di fogli strappati dal mio album, lì emerge il segno di una graffetta (spiega l'artista dentro il museo mentre mostra i dettagli sul bordo delle opere, nota degli autori). Non immaginavo che sarei stata protagonista di una mostra così importante come quella di Santa Giulia, così in passato ho strappato molti di questi fogli oggi esposti a Brescia senza tagliare bene i margini. E quando la mia galleria di Londra ha voluto iniziare a vendere alcuni reportage e quindi ho dovuto girare qualche disegno per firmarlo, vi ho ritrovato pagine del mio diario, appunti, tanti altri schizzi. Molte di queste opere sono state realizzate in presa diretta dentro l'azione rappresentata.

 

«Starship», opera esposta a Santa Giulia nella mostra «Victoria Lomasko – The Last Soviet Artist»
«Starship», opera esposta a Santa Giulia nella mostra «Victoria Lomasko – The Last Soviet Artist»

In altri casi, come nell'opera esposta che si intitola «Starship», gli elementi sono allegorici e fantasiosi, come sospesi in un sogno...
E' vero. E quest'opera e tutti i miei lavori in cui si intuisce l'idea del volo sono accomunati da uno stesso pensiero. Se ti trovi rinchiusa, imprigionata in uno spazio limitato, anche se dentro un Paese enorme, capisci che l'unica possibilità di salvezza è la fuga. La prima forma è una fuga in se stessi, nell'interiorità: è la creazione di un universo proprio e immaginario. Ma la fuga interiore precede sempre il cambiamento esteriore. Quando ho disegnato quest'uomo con questo gatto nel mio appartamento di Mosca, non sapevo quando sarei riuscita ad andarmene dalla Russia, non ci pensavo. Era il periodo duro della pandemia e non avevo «visti» aperti, ma ero in qualche modo convinta che sarei volata via sul mio razzo personale, perché quel che avevo dentro non corrispondeva a ciò che vedevo fuori. 

«A Trip to Dagestan #3», opera esposta a Santa Giulia nella mostra «Victoria Lomasko – The Last Soviet Artist»
«A Trip to Dagestan #3», opera esposta a Santa Giulia nella mostra «Victoria Lomasko – The Last Soviet Artist»

Le esagerazioni della «cancel culture» non solo legate solo alla storia di Stati Uniti ed Europa. Emerge dal suo lavoro una riflessione profonda sui rischi di una continua richiesta - ai cittadini e agli artisti - di dissociarsi, rinnegare, smarcarsi dalla realtà preesistente. E così non si tiene conto del fatto che molte persone già vedono la realtà in modo critico, retti da valori democratici, a Mosca come a Kiev o Washington. La censura dei regimi oppressivi e l'atteggiamento di rimozione negli altri Paesi hanno qualcosa in comune?

Da una parte vedo censura e propaganda e dall'altra ugualmente censura e propaganda, è indubbio. Non interessa a nessuno in molti contesti che qualcuno racconti i suoi sentimenti e preoccupazioni. Quasi a nessuno preme che tu racconti quello che realmente vedi. E purtroppo devo ammettere che tanti attivisti pacifici nel mondo non hanno incontrato un'accoglienza amichevole, solamente perché hanno un passaporto russo. E questo senza riferimento alle loro idee contro la guerra e per la convivenza pacifica. Invece io credo che se qualcuno di noi russi si avvicinerà a voi e comincerà a raccontarvi la concretezza della vita, ecco che allora non saremo più una massa indistinta della società ma persone vive. Di carne e sangue. Non è la storia semplicemente della Russia, dell'Ucraina e dell'Occidente quella di cui stiamo parlando e di cui parlano le mie opere. Sono convinta che anche gli iraniani o i cittadini di molti Paesi dell'Africa abbiano gli stessi sentimenti: se le persone cominciassero davvero a parlarsi l'un l'altra, capirebbero che le differenze sono minime. Allora come si farebbe a continuare a baloccarsi con i giochi di geopolitica? Per giocarci bisognerebbe che i cittadini fossero convinti delle differenze inconciliabili. Ma vedere che le persone sono diverse dagli stereotipi apre nuove prospettive. Ed è per questo che i regimi cercano di tenere i giovani e in generale la gente nell'isolamento reciproco.

La mostra è promossa da Comune di Brescia, Fondazione Brescia Musei e Festival della pace: la prima personale in Italia dell’artista Victoria Lomasko è curata da Elettra Stamboulis. Telefono per informazioni 030 2977833/834, mail cup@bresciamusei.com, sito ufficiale www.bresciamusei.com. L'8 gennaio la mostra si chiude: orario 10-18, alle 17 l'ultimo ingresso. 

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«Lekciay», opera esposta a Santa Giulia nella mostra «Victoria Lomasko – The Last Soviet Artist»
«Lekciay», opera esposta a Santa Giulia nella mostra «Victoria Lomasko – The Last Soviet Artist»

 

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