L’anteprima

Con «The Holdovers» il Natale in sala non è ancora finito

di Luca Canini
letterboxd.com/RivBea79
L'ultima fatica del regista Alexander Payne con un Paul Giamatti da Oscar: un film che funziona alla grande nel suo essere totalmente, indubitabilmente natalizio

Tema: i film di Natale. E chi ci crede più ormai ai film di Natale? Intossicati dall’eccesso alimentare di cinepanettoni e di schifezze simili, anestetizzati dalla retorica dei buoni sentimenti, ridotti a fare della milionesima replica di «Una poltrona per due» la misura delle nostre feste, straziati dall’ennesimo Disney che non serve a niente e aggrappati a quel che resta di Frank Capra, ci siamo dimenticati che c’è ancora chi è capace di fare dei buoni film di Natale.

Alexander Payne, ad esempio, quello di «Nebraska», «Sideways» e «A proposito di Schmidt». Uno specialista della commedia agrodolce, dei toni medi, del dramedy all’americana, che arriverà in sala anche da noi a breve (il 18 gennaio) con «The Holdovers» («Lezioni di vita» il sottotitolo scelto per la versione italiana): un film di Natale che funziona alla grande nel suo essere totalmente, indubitabilmente natalizio. Personaggi, musiche, trama, ambientazione: più Natale di così ci sono solo il cenone in famiglia, la tombolata davanti al caminetto e l’immancabile zio impiccione che vi chiede se finalmente avete trovato il fidanzato/la fidanzata.

Di cosa stiamo parlando?

Inverno del 1970. Da qualche parte nel gelido New England, in una di quelle scuole private da futura classe dirigente che abbiamo imparato a conoscere grazie a «L’attimo fuggente» e parenti stretti. È qui che insegna storia il professor Paul Hunham, il classico sconfitto di mezza età che gli incroci importanti li ha sbagliati tutti, attaccato alla sua missione di insegnante come all’ultima cosa che gli rimane tra una colpa pagata ingiustamente e troppe porte chiuse in faccia al prossimo.

Ci si impiega poco ad affezionarsi al professor Hunham, cucito addosso a un Paul Giamatti che ruba la scena con un’interpretazione degna della notte degli Oscar. Come ci si impiega poco ad affezionarsi agli altri due vertici del triangolo di sfigati messo su carta da David Hemingson, produttore oltre che sceneggiatore: lo scapestrato Angus Tully (Dominic Sessa), il tipico studente problematico finito nel tritacarne di una famiglia fatta a pezzi da un dramma vergognoso, e la capocuoca afroamericana Mary Lamb (Da’Vine Joy Randolph: qui l’Oscar per la migliore attrice non protagonista sarebbe meritatissimo), che ha perso da poco il figlio in Vietnam e che sta provando a tenere insieme i pochi scampoli di vita che le sono rimasti.

Tre avanzi di umanità, tre delusi ai margini, tre derelitti. Costretti a passare le vacanze insieme per una serie di sfortunate concause. L’occasione perfetta per stabilire delle connessioni inattese, per scoprire di non essere davvero soli, per scongelare il cuore. È un film di Natale, ve l’avevo detto, ci sono la neve, l’albero, le canzoni, le lacrime e tutto il resto, ma se durante il finale, quando attacca la splendida «Crying Laughing Loving Lying» di Labi Siffre, non avete gli occhi un pochino lucidi e un mezzo groppo in gola, o siete il Grinch o un suo parente stretto.

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