INTERVISTA

Alessio Bertallot

di Gian Paolo Laffranchi
«Ho sposato la mia musica e voglio riportarla a Brescia»
Alessio Bertallot con Lucilla Giagnoni: insieme hanno dato vita al progetto musical-teatrale «Disco Inferno»
Alessio Bertallot con Lucilla Giagnoni: insieme hanno dato vita al progetto musical-teatrale «Disco Inferno»
Alessio Bertallot con Lucilla Giagnoni: insieme hanno dato vita al progetto musical-teatrale «Disco Inferno»
Alessio Bertallot con Lucilla Giagnoni: insieme hanno dato vita al progetto musical-teatrale «Disco Inferno»

Guru della club culture. Musicista polivalente. Autore, conduttore, deejay, idee luminose e voce suadente: un punto di riferimento per chi fa musica in Italia. Alessio Bertallot nel Bresciano è di casa, tante sono le volte che l'hanno visto protagonista da queste parti: dal Buddha di Orzinuovi al Teatro Sociale, dal Vinile 45 al Social Club, dalla Conca d'Oro Lido di Salò al Vittoriale di Gardone Riviera, dal Politeama di Manerbio all'Accademia SantaGiulia - è storia dell'altro giorno - per il finissage della mostra on-line con i progetti degli studenti della Scuola di Nuove tecnologie dell'Arte. «Un incontro che ha suscitato la mia curiosità - spiega -. Mi piace capire come i fenomeni artistici riescono ad esprimersi in momenti storici diversi: per esempio, trovo che esistano analogie fra la pop art e la cultura hip hop. Fra le nuove tecnologie dell'arte e quello che succede nella musica c'è un'affinità profonda. A volte gli strumenti stessi inducono certe soluzioni: penso ai campionatori, ai computer, alla distanza minima che c'è fra musica granulare e glitch art. E dai ragazzi c'è da imparare».

Cosa la lega a questa terra?
Ho ricordi bellissimi. Con Lucilla Giagnoni ho sperimentato l'irruzione della musica elettronica in un testo classico. Io, deejay, chiamato a recitare in maniera ritmica. Come dar vita ad una colonna sonora sul palco dal vivo con i piatti. Quei matinée con le scuole sono la cosa che mi ha divertito di più anche perché odio lavorare la sera. Perché non si può ballare al mattino? Ci sono energie diverse.

Nel 2023 Brescia sarà capitale della cultura.
L'occasione ideale per un follow up con Lucilla: sarebbe fantastico riprendere il discorso avviato insieme.

Ha collaborato con Lucilla Giagnoni per «Disco Inferno», con Alessandro Baricco e Cesare Picco in «Play Novecento». Ama spaziare: se dovesse definire la sua professione, oggi?
Una volta dicevo che se mi fossi dovuto basare sulle categoria dell'Enpals mi sarei dovuto dichiarare o vedette/soubrette o artista/fantasista. Ho scelto la seconda.

Fantasista, numero 10 stile Roberto Baggio.
Il fatto è che è difficile portare avanti le proprie ispirazioni, in Italia più che altrove. È la condanna di chi fa il mio mestiere qui, con una visione artistica senza steccati: siamo parte di una nicchia molto più piccola di quella di cui dispongono i colleghi di lingua anglosassone.

Da chi ha preso il gene dell'apertura mentale?
Senz'altro da mio padre Antonio, ufficiale di Marina capace di trasmettermi la sensazione che dà la libertà vera, un'istintiva predisposizione Zen che ho capito solo molti anni dopo. Era appassionato di moto, come me. Un giorno mi disse che le motociclette sono come le donne: se non le ami, ti tradiscono. La musica per me non è solo musica: inutile la pretesa di mettere ordine, limitando l'arte e l'estro. Nel Medioevo si affermavano simmetrie inesistenti. La verità anche nella creatività è diversificata, spesso inafferrabile.

Sono passati trent'anni da quando si è materializzato sul palco del Festival di Sanremo con gli Aeroplanitaliani per proporre «Zitti zitti»: una partecipazione rivoluzionaria, 30 secondi di silenzio in eurovisione. Come lasciare il segno in un amen.
Non era il Festival di adesso, molto più rappresentativo del Paese musicale. Eravamo indecisi se andare o meno, fu una sfida metterci alla prova fuori contesto. La lampadina ci si accese all'improvviso durante una serata in birreria a Bologna. Pensammo che sarebbe stato interessante andare a Sanremo nella settimana del Festival, quando il rumore è predominante, per portare una cesura di silenzio. Abbiamo concepito allora una narrativa teatrale che ha significato cacciarci in un guaio pazzesco: era tutto maledettamente complicato, perfino i campionamenti erano vietati dal regolamento.

Ma l'effetto fu dirompente.
Un gesto punk dopo un crescendo orchestrale: l'ispirazione era colta, citavamo il silenzio di John Cage che però non voleva aprire cesure. Io avevo fatto un cut-up di rumori mediatici, affastellando giornali dell'epoca in forma di rap per approdare al silenzio. Se ci ripenso ho un brivido perché c'era la consapevolezza di una sliding door: potenza della televisione, niente sarebbe stato più lo stesso per me. Fummo coraggiosi e non fummo fraintesi.

Che pensa dell'ultimo Festival?
La musica oggi come ieri a Sanremo è spesso un pretesto, ciò che conta è lo spettacolo televisivo. Non c'è da stupirsi dell'exploit di Blanco, la base consistente di follower dei talenti più giovani è fatta di ascoltatori reali. Questo produce conseguenze anche in una manifestazione come il Festival. E chi ha una personalità tale da bucare lo schermo vince.

Quale pezzo non può mancare mai in un suo djset?
James Brown è la radice di tanta musica dance: direi «People get up and drive your funky soul».

Andiamo con la macchina del tempo nel 2032: fra 10 anni cosa starà facendo Bertallot?
Sono sposato alla musica, non mancherà mai nella mia vita. Voglio ambire alla bellezza e la musica non si può possedere, solo inseguire: una meravigliosa, continua scoperta..

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