INTERVISTA

Antonio Amaduzzi: «Il mio regalo a Brescia capitale: 3.600 volumi di fotografie rare»

di Paolo Lanfranchi

«L’occhio come passione». S’intitolava così uno dei suoi libri di fotografie (dal 1955 al 2017). Quale miglior definizione della sua vocazione allo scatto. La vita è tutta un clic? Se ve lo state chiedendo, mentre riflettete di sicuro Antonio Amaduzzi vi ha già fotografato. Socio fedele del Cfm (Circolo Fotografico Milanese) da 67 anni ormai, da instancabile collezionista di istantanee ha deciso di fare al Macof di Brescia il più sentito e prezioso dei regali: quasi 4 mila volumi fotografici rari, se non introvabili, per una biblioteca eccezionalmente ricca che aprirà i battenti nel 2023, giusto in tempo per l’anno da Capitale della Cultura. Avrà sede proprio nel palazzo del Moca-Centro per le nuove culture, con un’estensione sotto forma di catalogo cartaceo e online. Porterà il suo nome e si proietterà – come hanno sottolineato il direttore suo grande amico Renato Corsini e la vice sindaco Laura Castelletti - «tra le più importanti a livello nazionale, se non addirittura la più importante».

Amaduzzi, se non è amore per la fotografia questo...
Ho sentito l’esigenza di donare. Pensando a chi potrà ricevere, e usufruirne.

Quanti libri sono, esattamente?
3.600.

E li regala tutti al Macof?
Tutti. Ho telefonato a Gianni Berengo Gardin prima di Natale, per fargli gli auguri e dirgli «Vi dono il mio archivio». A quel punto mi ha richiamato Corsini e fra un viaggio e l’altro, parecchi viaggi Milano-Brescia avanti e indietro per la verità, il trasloco si è compiuto. Alla fine ci sarà un bel catalogo, con tutte le copertine illustrate. Sono felice. La mia speranza è che con la grande biblioteca che nascerà un ragazzino possa appassionarsi. Chiaro che alcuni di questi volumi valgono pure tanto: li ho collezionati comprandoli sul mercato internazionale, a New York per esempio.

Il pezzo pregiato?
Ho acquistato tutto quello che ho trovato di Robert Capa, il mio idolo. La sua morte prematura mi colpì molto. Ho cercato tutto su di lui, trovando perfino pubblicazioni in ungherese. C’è un libriccino molto raro, «Invasion», confezionato dai redattori di «Life», con scatti di Capa. È la prima pubblicazione in assoluto dedicata allo sbarco in Normandia, edita a soli 3 mesi di distanza. Un lavoro mai tradotto in Italia. Mi piacerebbe che qualche editore potesse farsene carico, quasi ottant’anni dopo.

Non solo fotografo: professore emerito, ha insegnato per 51 anni ininterrotti di carriera in tante università.
Dieci atenei: dalla Bocconi a Bologna, da Venezia a Catania. Ho finito la carriera passando 35 anni a Bergamo. Ragioneria generale ed applicata, storia della ragioneria, economia aziendale. Amavo fare il docente, ma il desiderio di fotografare non mi ha mai abbandonato.

Soggetti preferiti?
Il più delle volte un uomo e una donna. Un paesaggio, una coppia, l’amore.

Dov’è cominciato tutto?
Sono nato a Roma il 9 giugno 1936. Battezzato in San Pietro, perché la mia parrocchia era quella. Ho diviso da subito i miei interessi fra letteratura e fotografia. Compravo libri e riviste, confrontavo, studiavo, verificavo i progressi. Da quando ho 14 anni il mio entusiasmo non è mai scemato.

Deve ringraziare qualcuno, per questo?
Mia mamma Maria era la fotografa di famiglia, mi ha inculcato lei questa vocazione occupandosi degli album di famiglia, gli onomastici, i compleanni, le feste comandate. Un amico dei miei genitori fece il resto regalandomi una macchina fotografica.

I regali sono importanti.
Sì. Mio papà, Aldo, docente di economia aziendale, dal canto suo era un ottimo pittore. Io e Berengo Gardin abbiamo realizzato una piccola monografia su di lui, con i miei scritti e le foto di Gianni, editore Mazzotta.

Il suo modo di fotografare si ispira alla Photographie Humaniste francese e il suo stile nasce dallo studio di autori quali Cartier-Bresson e appunto l’amico Berengo Gardin: l’incontro con lui è la tappa fondamentale del suo percorso?
Quando l’ho conosciuto, nel 1960, ero già un fotografo dilettante. Andai a trovarlo nel suo negozio, a Venezia, accanto a San Marco. Pubblicavamo foto sulle riviste, sapevo della sua attività: fu amicizia a prima vista. Mi invitò nella sua casa al lido e scoprimmo di avere tanti interessi in comune, dai modellini degli aeroplani alla storia della seconda guerra mondiale e dell’aviazione in generale. Oltre ovviamente alla passione per la letteratura e per la fotografia. 

Da questi due pilastri della sua vita nasce «Fotolibrai»?
Esatto. Un processo temporale lento e inarrestabile, impresso nella serie di ritratti che ho esposto a Brescia.

Ha preso parte alla quinta edizione del Brescia Photo Festival che si conclude oggi mettendo in mostra gli istanti di luce che ha saputo catturare nei suoi scatti. Quella capacità di cogliere l'attimo l'ha portata a pubblicare diversi libri fotografici?
Sì. E sono contento di essere riuscito a partecipare a rassegne nazionali e internazionali, ricevendo anche diversi riconoscimenti.

Ha reso straordinaria la quotidianità, con valori da ribadire sotto voce e immagini intrise di buoni sentimenti. «Fotolibrai» è il coronamento della strada compiuta finora?
È un lavoro in cui mi riconosco. Ma posso considerarmi fortunato: una mia fotografia della piazza di Siena è stata acquistata in America, ho fatto mostre anche a New York.

La prima foto scattata?
Festa di fine anno, i miei genitori che danzano. Ce l'ho ancora, incorniciata nel mio studio. Corpi che mi guardano sorridendo mentre ballano. Una foto in cui mi ritrovo, che mi emoziona sempre.

Il primo libro collezionato?
I primi importanti volumi li ho comprati in compagnia di Berengo Gardin nella libreria Toletta, all'accademia di Venezia. Erano due libri di Cartier Bresson, in una delle copertine c'era Matisse. Comprati in svendita, oggi varranno tanto.

Cos'è la fotografia, oggi?
È il caos assoluto. Io ho sempre cercato di fotografare l'armonia che si nasconde nella confusione del mondo. In una piazza c'è sempre il momento in cui l'andirivieni della folla diventa armonioso: ho sempre provato a cogliere quell'istante, immortalandolo. Anche quando mi sveglio la mattina e fotografo dalle mie finestre. Poi, per me la fotografia è solo in bianco e nero. Così ho cominciato e così continuo.

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