INTERVISTA DELLA DOMENICA

Brachetti: «Io, fantastic - attore felice. E' il mestiere più bello del mondo»

Sabato 18 marzo al Gran Teatro Morato: «Brescia curiosa, insospettabile e stupenda. Merita di essere Capitale della cultura»

Si schermisce e colpisce. La battuta in un lampo: più o meno il tempo di un suo cambio d’abito. «Io una leggenda? Ma no, lo mettiamo nel titolo dello spettacolo solo per vendere i biglietti...». Ma no, infatti. Come può essere una leggenda uno che nel suo show interpreta solo una sessantina abbondante di personaggi; che ha superato 600 mila spettatori in 500 repliche; che ha milioni di fan sparsi per i continenti; che vent’anni fa è entrato perfino nel Guinness dei primati? Arturo Brachetti trasformista più veloce del mondo (81 personaggi diversi in uno spettacolo lungo due ore, era il 2002). Brachetti attore, regista, illusionista. Brachetti superstar di ritorno nel Bresciano, terra che l’ha già visto trionfare in passato e che gli è cara per legami consolidati nel tempo, sabato 18 marzo (dalle 21.15) al Gran Teatro Morato con «SOLO the Legend of quick change».

Ritroverà Brescia capitale della cultura.

Sono contento, se lo merita. L’apprezzo tanto.

In particolare perché?

Brescia è curiosa, insospettabile. Ha un centro storico bellissimo. E la metropolitana, come le grandi città.

Leggenda, si diceva. In Francia l’adorano, per esempio: «Le Monde» l’ha intervista in prima pagina.

Il fatto è che quando ho cominciato io, nel 1978, ero l’unico trasformista in velocità nel mondo. Dal 2000 hanno iniziato a copiarmi in tanti.

Nel suo curriculum: 5.000 presenze in palcoscenico tra Europa e America, 43 anni di carriera, 450 costumi teatrali. A 65 anni di età è ampiamente nella storia degli one-man-show.

Ma io di anni me ne sento 15, sono un Peter Pan nel corpo di un sessantacinquenne! Ho ancora voglia di raccontare delle cose, di sorprendere il pubblico.

Quali sorprese riserverà la prossima volta alla platea bresciana?

Questo spettacolo sta girando l’Italia da 6 anni ormai. Rispetto all’ultima volta a Brescia ci sarà qualche piccolo cambiamento. La gente non può ricordarsi tutto.

Comincia da una piccola wunderkammer dei ricordi utilizzata come espediente scenico/narrativo, poi si lancia all'avventura retroattiva nel flusso di super classici e super eroi: dall'Incredibile Hulk a Wonder Woman, da Batman alla signora Fletcher, passando per Baywatch e Star Trek, La Famiglia Addams e Sherlock Holmes.

Ora ho aggiunto il personaggio della Casa di Carta. Sparo sul pubblico biglietti da 55 euro, la gente me li chiede autografati. Nella mia casetta delle bambole apriamo sportelli e ogni stanza è la scusa per un numero a tema. Incontro la mia ombra, interpretata da Kevin Michael Moore, che striscia mentre io voglio volare. Il conflitto si risolverà: prenderò lo slancio dell’innocenza e lo filtrerò attraverso l’organizzazione della maturità.

Brachetti l’uomo dai mille volti: trasformismo, illusionismo, funambolismo, fantasismo, varietà, cabaret, nouveau cirque, magie tecnologiche. Evolvendosi ha visto anche il pubblico cambiare?

Profondamente, sì. La gente è abituata ad un ritmo teatrale diverso rispetto a trent’anni fa. Gli spettacoli lunghi stufano, per questo io faccio 90’ senza intervalli con una sorpresa ogni 20”. Un ritmo da Netflix, o per meglio dire da Tik Tok. La soglia dell’attenzione ormai è minima, ma i ragazzi di oggi non dovranno costruire ponti nel futuro? A qualcuno toccherà ancora dedicarsi a cose che richiedono pazienza per durare nel tempo. A me interessa ciò che rimane. Già 40 anni fa quando ho cominciato cercavo di fare numeri con diversi piani di lettura, dall’infantile stupore della persona semplice al livello culturale di chi sa apprezzare citazioni di Van Gogh e Magritte, a quello emotivo universale che colpisce al cuore anche mia mamma strappandole la lacrimuccia. Certo ormai gli spettacoli sono pieni di fumi e raggi laser, videomapping e ledwall.

Si rischia la saturazione ipertecnologica?

Sì. Lo spettacolo che verrà dopo «Solo» sarà senza proiettori: ormai li usano tutti, anche la convention del formaggino ce li ha.

Quando ha deciso di trasformarsi in trasformista?

A 15 anni studiavo dai preti in seminario. Ho incontrato allora don Silvio Mantelli, sacerdote salesiano con l’hobby della prestidigitazione, in arte Mago Sales: mi ha insegnato lui i primi giochi di prestigio. Ero tremendamente timido e come ogni timido non aspettavo altro che salire su un palco. I compagnucci mi mettevano nel bidone dell’immondizia, venivo bullizzato, e ho capito che trasformarmi poteva essere il mio superpotere. Avendo paura del pubblico mi travestivo per darmi coraggio. A quel punto don Silvio mi regalò «Fregoli raccontato da Fregoli». E mi si aprì un mondo.

Il suo omaggio muto al maestro del trasformismo è che un secolo dopo lei utilizza ancora l’antico metodo fregoliano sulla scena: a volte si sveste e riveste davvero, il cambio non è virtuale ma reale.

Parliamo di un personaggio di straordinaria creatività, che si inventava dettagli mirabolanti per farsi pubblicità, geniale come Houdini.

Non a caso nel 2011 ha scritto la prefazione di «Fregoli, la biografia», firmata dal bresciano Alex Rusconi.

Mio caro amico. Lo stimo molto. Lo sa che mi ha regalato una valigetta di «cacciatori di vampiri?» Brescia fa parte di quella catena di circoli di illusionismo che sa capire cosa c’è dietro un’invenzione.

Lei quando l’ha capito?

Presto. E a 16 anni facevo le prove del mio autografo. Dopo aver vinto un concorso d’illusionismo a Saint Vincent, nel ’78 io che all’anagrafe sono Renzo Arturo Giovanni ho deciso di chiamarmi Brachetti. E sono rinato.

Potesse tornare indietro?

Per carità! Sto meglio nella mia pelle adesso. Faccio il mestiere più bello del mondo, che mi ha insegnato a viaggiare, con progetti dai riscontri immediati: se parte l’applauso vuol dire che funzionano. Affetto terapeutico. La mia missione è questa. Quando lasciai il seminario, mi fu detto «l’importante è avere una vocazione nella vita. La tua è far sognare, far sorridere». Nei miei neuroni rimane la convinzione di allora. Seguo una dieta, zero vizi: poter stare in scena è un premio che vale ogni sacrificio. Anche andare in palestra 3 volte a settimana con un personal trainer che ti insulta mentre ti alleni.

Vita intensa: c’è spazio per dedicarsi ad altro?

Mi piace il bricolage, che confina col mio lavoro. Durante il lockdown ho imparato a cucire a macchina e a dipingere al contrario: non è difficile, ho fatto studi di scenografia e di pittura in accademia, so disegnare. Devi solo memorizzare bene il percorso.

Tutto facile per lei. Il segreto?

L’energia contagiosa. Faccio spettacoli anche con la febbre, sudo il doppio e va via la malattia. So cambiarmi in un secondo e mezzo, veloce come i circensi ma a differenza loro devo reggere un’ora e mezza, non pochi minuti.

Chi è oggi Arturo Brachetti?

Un fantastic-attore. Un creatore di fantasie. La magìa esiste negli occhi di chi vuol vederla. L’uomo sognerà sempre di volare. E di mettere in scena la propria vita.

Lei lo fa anche da regista, come per «The best di Aldo, Giovanni e Giacomo live».

E tornerò alla regìa per «Fred!», lo spettacolo dedicato alla figura di Buscaglione con Matthias Martelli e la musica di Roy Paci. L’8 dicembre la prima sarà al Teatro di Marsi di Avezzano. Poi saremo a Roma, al Parioli, e in giro per l’Italia. Con la voglia di sempre.•.

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